di Paquito Catanzaro*
A distanza di quasi cent’anni dalla sua scomparsa, di Franz Kafka s’è detto tanto, ma non ancora tutto. Mauro Falchetti e Luca Albanese hanno scelto di raccontare uno dei più grandi scrittori del ’900 con addosso l’abito, stretto e consunto, del disperso. Un graphic novel delicato quanto una carezza ma, al contempo, duro come un pugno nello stomaco. Un diretto che la casa editrice Becco Giallo ha trasformato in un progetto editoriale di grande impatto emotivo.
«Kafka. Diario di un disperso» dichiara Falchetti «non nasce come una canonica proposta editoriale. Ha un percorso più tortuoso ma anche virtuoso, in cui sceneggiatore e editor si incontrano sulla possibilità di fare una biografia. La modalità di lavoro che si è creata attorno a questo volume è stata un po’ atipica ma assolutamente virtuosa e vincente: un triangolo editor, sceneggiatore, disegnatore senza verticismi né compartimenti stagni. Una band che aveva in testa una sonorità molto chiara da voler riprodurre».
È un Kafka molto “umano” quello proposto dai due autori: curioso, timido, spesso taciturno, che non vuol lasciar traccia del suo passaggio sulla terra. Dentro i suoi silenzi nascono i personaggi con cui interagisce e storie che vive in prima persona. Come mai questa scelta così vicina – narrativamente parlando – all’autofiction?
«Può sembrare vicina all’autofiction» continua Falchetti «ma se ne allontana se prendiamo in considerazione da dove vengono attinte la maggior parte delle informazioni e delle frasi che Franz dice o pensa in quest’opera: i suoi Diari. L’obiettivo del libro è quello di “ricostruire il macchinario Kafka”, risvegliare il golem, far tornare Pinocchio un bambino vero. Rendere Franz una persona di nuovo, oltre la visione a due dimensioni che è stata creata di lui. Primariamente quindi, la definiremmo una “biografia psicologica”, che cerca non tanto di narrare i fatti biografici ma i vissuti del protagonista in relazione a essi, oltre che “generati da” e “generanti” gli stessi. E lo stesso discorso vale per la sua opera letteraria, in un tentativo molto superbo e ambizioso di riconnettere (ma non unificare: Kafka non è riducibile) il tutto».
Quasi un secolo dalla morte eppure la potenza letteraria della narrativa kafkiana non risente del passare del tempo e sembra sempre di grande attualità. Una involuzione della società oppure la straordinaria capacità dell’autore di guardare sempre al futuro?
«Dalla sua morte» aggiunge Albanese «crediamo che l’Europa abbia almeno vissuto quattro o cinque modelli di società estremamente diversi tra loro. E Kafka aveva qualcosa da dire in ciascuno di essi, altrimenti non sarebbe incondizionatamente letto anche oggi. Come tutti i grandi, ha descritto il particolare per far comprendere il generale, e come tutti i grandissimi, ha colto gli aspetti dell’umano che sempre sono stati e sempre saranno. Crediamo che relativamente alla stretta attualità di Kafka ci serva la sua capacità di descrivere la disumanizzazione».
Una biografia inedita ma non solo. Kafka. Diario di un disperso è un romanzo (grafico) di formazione con cui seguiamo la vita di un sognatore non completamente consapevole del proprio talento.
«Anche in questo caso» riprende Falchetti «Franz ci turba e ci confonde. È un sognatore, certo, ma è un uomo pragmatico: non vive in un solaio morendo di fame per la sua arte, ma si laurea in legge e si sveglia tutte le mattine per andare a lavorare in un tempio della burocrazia. Ha relazioni amicali e affettive degne di questo nome a cui riesce a dedicare tempo, facendosi amare e rendendosi sempre disponibile. Senz’altro poco consapevole del proprio talento ma, se fosse stato solo così, avrebbe continuato con quella determinazione a seguire i suoi sogni letterari, a migliorarsi, a privarsi del sonno e della vita per scrivere? È un uomo che vive nel dubbio, certo, come tutte le persone di estrema sensibilità. È un perfezionista, e come tale vive male. È una persona che subisce fratture rovinose, tutte interne, improvvise, è il maratoneta che crolla a dieci passi dal traguardo, sgambettato da forze invisibili. È un cercatore: un sognatore che cerca quel quid che gli manca, quell’ultimo ingranaggio, quel tassello. Lo cerca però, per poter vivere nel mondo degli uomini; per comprenderlo e viverci dentro appieno».
Da qualche mese il romanzo appartiene a noi lettori, lecito chiedere agli autori cos’abbia lasciato in dono questo progetto letterario.
«Prima di tutto» risponde Albanese «una splendida relazione con le persone con cui lo abbiamo realizzato. Poi, banalmente, la conoscenza profonda dell’opera Kafkiana che abbiamo dovuto, con piacere, studiare fino all’ultima riga».
«Una conoscenza migliore di noi stessi» gli fa eco Falchetti. «In Franz, nel suo anelare il meglio, nel suo desiderio di ricerca e nel suo fermento, nelle sue idiosincrasie, abbiamo ritrovato tante parti di noi e del nostro passato. E mettendo insieme i pezzi del suo puzzle, qualcosa abbiamo riconnesso anche del nostro. E così speriamo per chi legge, ma solo se è ciò che gli occorre».
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*Paquito Catanzaro lavora come addetto stampa della casa editrice Homo Scrivens e come insegnante di ludoteatro in una scuola materna. Coordina il blog Il Lettore Medio e ha una passione smodata per le figurine dei calciatori Panini. Ha pubblicato tre romanzi e una raccolta di racconti sul calcio.