Una vita dietro un pallone. Intervista a Sara Gama

Incontro Sara Gama durante un round di domande con altri giornalisti, organizzato su Zoom dalla casa editrice DeAgostini. Il punto di partenza è ovviamente il suo ultimo libro La mia vita dietro un pallone, ma l’occasione è ghiotta anche per poter parlare di tanto altro.

Nel tuo libro racconti quanto sia stato un elemento imprescindibile della tua infanzia il giocare fuori, all’aperto. Oggi tanti bambini per gli obblighi riguardanti la sicurezza nazionale non possono farlo. Cosa ti senti di dire?
Prima di tutto dico ai genitori di non arrabbiarsi se rompono qualcosa in casa (ride). E poi bisogna supportarli perché è un momento delicato. In attesa di poter tornare all’aperto a fare sport e a giocare.

Come nasce l’idea di questo libro?
Il libro è stata un’opportunità che si è presentata e l’ho colta. Il team DeAgostini mia ha cercato e io ho, incuriosita, ho voluto provare. È un libro per i più giovani e penso sia importante lavorare pensando al futuro. Ovviamente è anche una lettura leggera (che lascia però qualcosa) per i più grandi.

Sei soddisfatta?

Assolutamente sì. Mi ha lasciato buone sensazioni e mi ha dato la possibilità di rivivere dei passaggi della mia vita che ancora non avevo raccontato. Scrivere è stato un bell’esercizio personale. Spero che il libro venga apprezzato, in parte sta già avvenendo e sono davvero contenta e grata di aver avuto questa opportunità.

Hai un libro sul comodino? Cosa stai leggendo?

Sto leggendo un libro vecchio di Ken Follet. Mi piacciono libri storici fino alla rivoluzione francese.

Il professionismo doveva arrivare nel 2021 ma il Covid sta oscurando quell’importante passaggio per il sistema calcio femminile.

Nei momenti di crisi si tende sempre a focalizzarsi sul problema mettendo il resto da parte. Non dobbiamo fare questo errore.

Ti stai impegnando tanto per abbattere gli stereotipi che riguardano le donne anche nel mondo dello sport.
Il mio è un lavoro che aiuta ad abbattere determinati stereotipi ma è nata come una cosa inconsapevole. Non è qualcosa di cui mi sono fatta carico. Mi trovo qui ad abbattere determinati pregiudizi ma io come le mie compagne non abbiamo iniziato a giocare a calcio con questa idea. Diciamo che non mi prenderei dei meriti ecco. Così come magari penso che il mio percorso sia stato un po’ più fortunato rispetto ad altre atlete. In ogni caso è vero stereotipi e pregiudizi ci sono ci siamo passate tutte chi più chi meno però io vorrei parlare anche degli ostacoli logistici che si trova ad affrontare una ragazza che vuole giocare a calcio. Penso a me che a 12 anni ho dovuto cambiare squadra perché non potevo più giocare coi ragazzi e dovevo fare un viaggio di 40 minuti in macchina all’andata e al ritorno per allenarmi quando sono dovuta andare all’estero per riuscire a diventare una professionista. Queste sono difficoltà concrete oltre ai pregiudizi che sono ostacoli comunque.

Se non avessi fatto la calciatrice cosa avresti voluto fare?
In testa avevo solo il calcio e non pensavo nemmeno che potesse diventare il mio lavoro. Non pensavo ad altri sport, io volevo solo giocare a calcio. Sono fortunata perché tutti abbiamo qualcosa in cui possiamo eccellere ma non tutti la trovano.

Cosa fai quando non giochi a calcio?

Fuori dal rettangolo di gioco continuo comunque a lavorare. Se parliamo di tempo libero, sto a casa, libri, serie tv, cena con amici, cose basic. Quando posso mi piace viaggiare.

Quanto devi alla tua famiglia per la tua crescita e per la tua formazione?
La mia famiglia mi ha trasmesso dei valori e delle caratteristiche tipiche (e ruvide) della gente semplice del nord-est e credo che questo bagaglio mi abbia aiutata. Ma non devo ringraziare solo la mia famiglia, ma anche gli insegnanti, gli allenatori… sono in tanti ad avermi lasciato qualcosa. Penso di essere stata anche molto fortunata ad avere queste persone attorno.

Per concludere… che differenza c’è tra i giovani calciatori e le giovani calciatrici?
Le ragazze sono più celebrali. I ragazzi è facile allenarli perché tu gli dici di fare una cosa, e loro la fanno. Le ragazze no, se tu gli dici di fare una cosa… loro ti chiedono perché. Poi la eseguono e la fanno sacrificandosi e spesso sono anche più brave dei ragazzi. Ma se prima non gli spieghi perché devono farlo rischi di non ottenere risultati. Se pensi che basti dare un ordine non vai molto lontano, allenando le ragazze.