Vera Gheno è una sociolinguista specializzata in comunicazione digitale, ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca nella redazione della consulenza linguistica e gestendo l’account Twitter dell’istituzione. Attualmente collabora con Zanichelli. Insegna all’Università di Firenze e alla LUMSA a Roma ed è autrice di saggi scientifici e divulgativi tra cui ricordiamo. Per Longanesi ha recentemente pubblicato PAROLE CONTRO LA PAURA – Istantanee dall’isolamento di cui vi avevo già parlato qualche settimana fa.
Ho avuto modo di incontrare Vera Gheno durante la versione Live di A casa tutti bene. Di seguito una sintesi della nostra chiacchierata e il video integrale della puntata.
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Come nasce Parole contro la paura? Usi un’espressione che mi piace molto. Dici: Volevo realizzare un album di polaroid di parole… e per farlo è stato necessario coinvolgere le persone in casa. Invitarle a raccontarti qualcosa…
Quando da Longanesi mi hanno detto che stavano pensando a una collana di Istant Book e mi hanno chiesto di scrivere qualcosa su le parole legate al Coronavirus c’erano già molti studi davvero interessanti su questo tema. Poi pensandoci mi è venuta in mente un’idea un po’ diversa: invece di riprendere la narrazione pubblica della Pandemia perché non parlare delle piccole storie? Quelle di noi, gente normale, che non siamo sul palcoscenico principale. Cosa facciamo nel privato della nostra quarantena? E quindi come spesso faccio – perché sono molto relazionale nelle cose che scrivo – ho chiesto alla mia rete di contatti dirmi le prime tre parole che le venivano in mente pensando alla situazione che stavamo vivendo.
Dalle parole che ti arrivavano ha subito compreso qualcosa?
Sì, che come tutti i grandi eventi esiste una narrazione ufficiale e una narrazione più casalinga, dietro le quinte. Quella di chi ogni giorno cercava di capire come sopravvivere alla didattica a distanza, ai bambini da non lasciare soli, alle file da fare e alle mascherine da indossare…
Qual è la tua parola della quarantena?
Dovessi sceglierne una, sarebbe Silenzio. Vivo vicino a un importante snodo autostradale e qui arrivava sempre rumore di fondo. Mi ha colpito scoprire la profondità del silenzio.
Il libro è organizzato dalla A alla Z e per ogni lettera ci sono diverse parole. Inoltre individui due parole in particolare che ci racconti catalogandole sotto due voci: PanMedia e Zeitgeist…
Volevo mettere le mani sul lessico della pandemia ufficiale e per questo ho creato la Panmedia una rassegna di termini entrati nella comunicazione ufficiale della pandemia.
Zeitgeist invece vuol dire spirito del tempo e come grande evento epocale anche il Coronavirus si è portata dietro parole collaterali. Penso a benaltrismo o ad antifragilità.
C’è una parola che ti aspettavi e invece non è stata presente come ti immaginavi?
Mi aspettavo più parile ufficiali. Alla C non c’è contagio, ma c’è casa. Ed è sintomatico del rapporto tra il narrato ufficiale e le nostre vite. Nella normalità era più importante la casa del contagio. E poi molte parole positive. Mi aspettavo una nuvola più pessimistica.
Sotto la Q oltre alla ovvia Quarantena… mi ha colpito Quarantadue, riferimento a guida galattica per autostoppisti…
Conoscendo la mia rete di contatti che è un po’ nerd non mi ha stupito. Anzi mi aspettavo più riferimenti pop. C’è ad esempio anche Zombie, noi siamo la generazione cresciuta con i racconti dell’apocalisse zombie e mi hanno fatto sorridere. Si tratta di un indicatore di come in fondo la vita sia continuata.
Ho appuntato nel libro un neologismo (Infodemia) e uno slittamento semantico (quarantena)…
Infodemia non è un neologismo in senso stretto perché il suo primo utilizzo risale al 2012, ma l’impiego dell’OMS è rilevante perché oltre a metterci in guardia dalla pandemia si è dovuto esplicitare ufficialmente che abbiamo un problema di di sovrabbondanza informativa. Quarantena invece non è un vero slittamento semantico… ma è un esempio di grammarnazismo da parte di chi si è lamentato che la quarantena dovrebbe solo essere di quaranta giorni…
Piuttosto un vero slittamento semantico pare averlo avuto “Tamponare” che da vocabolario significa fare un incidente o comprimere una ferita. Io non sono addentro ai contesti medici e ignoro se se non ufficialmente i medici tra di loro usassero già tamponare per dire fare un tampone. Questo è uno slittamento semantico di cui i vocabolari terranno certamente conto.
Che parola ci resterà di questa epoca?
Probabilmente ci ricorderemo lockdown come nome proprio di questa situazione.
Hai recentemente partecipato a un progetto di Be Unsocial, rivista di antropologia digitale, che si chiama Back to the future – 44 idee per la nuova normalità. Tu hai raccontato l’importanza del Conservare la centralità delle parole. In che senso?
Tutti in massa siamo emigrati online. L’unico modo per mantenere le relazioni umane era la migrazione online. Qualcuno si è potuto rendere conto che il social networking ha anche degli aspetti positivi e tutti ci siamo resti conto che le parole, quando le molliamo online, hanno un grosso peso: sono pericolose, sono fraintendibili. Tutti ci siamo resi conto di quanto stando online è importante mantenere una centralità della parola. Usciamone mantenendo questa attenzione.