Eravamo abituati a vederlo volare. E proprio volando ha deciso di dirci addio. Portandosi dietro una delle sue figlie in un tragico incidente di elicottero.
Ieri sera era da poco passata l’ora di cena quando su tutti i social e i siti di informazione è iniziata a rimbalzare la notizia della morte di Kobe Bryant. Sembrerebbe morto. Un condizionale che dura troppo poco e diventa certezza. Notizia confermata. Verità.
Bryant ha scritto pagine indelebili dello sport e non solo del basket. E su di lui sono state scritte tante pagine. Un giorno, finito il dolore, ricominceremo a sfogliare quei libri e faremo a Kobe e alla piccola Gianna il dono più grande. Quello del ricordo indelebile.
Showboat, la vita di Kobe Bryant.
Quando il figlio di Tellybean Bryant arrivò nella Nba, a diciott’anni, molti pensavano che fosse ancora immaturo, se non addirittura un bluff: un ragazzino viziato che voleva scimmiottare Jordan e usurparne lo scettro. Per qualcuno invece era l’erede designato. Nei playoff, nel momento più atteso, quel ragazzino scagliò quattro tiri maldestri e trascinò i suoi Lakers nel baratro. Fu il primo esame dell’educazione cestistica di Kobe Bryant, e da allora le critiche non 10 avrebbero più abbandonato. Dicevano che tirava troppo, che non giocava per la squadra, che era un «corpo estraneo». Eppure Bryant ha saputo costruirsi una carriera stellare, giocando ventanni con la stessa maglia, segnando 81 punti in una sola partita, vincendo cinque anelli e due ori olimpici. E col tempo ha dimostrato di essere «l’agonista più compulsivo nella storia del basket», disposto a fare il vuoto attorno a sé pur di conquistare il trono della Nba. Con la consueta eleganza, intrecciando statistiche, cronache sportive e interviste, Roland Lazenby ci offre un nuovo ritratto in chiaroscuro di un campione unico, raccontandoci le prodezze sul campo e gli enigmi dell’uomo: i conflitti con i genitori, il rapporto con la moglie («la nuova Yoko»), le accuse di violenza sessuale. Senza mai dimenticare la saga dei Lakers e le lotte per il potere tra Bryant e Shaquille O’Neal, che chiamava il rivale «Showboat» per irridere le sue smanie di protagonismo. Kobe preferiva «Black Mamba», come il rettile feroce di Kill Bill.
The Mamba Mentality.Il mio basket.
Vent’anni di carriera nella stessa squadra, i Los Angeles Lakers, 5 Titoli NBA, due ori olimpici, un’infinità di record pesonali. Kobe Bryant ha letteralmente rivoluzionato la pallacanestro, prima di ritirarsi nel 2016 scrivendo una toccante lettera d’addio al basket che è diventata un cortometraggio animato premio Oscar nel 2018. In questo magnifico libro illustrato Kobe (autosoprannominatosi “Black Mamba” dal nome di uno dei serpenti più letali e rapidi in natura) racconta il suo modo di intendere il basket: le sfide sempre più dure lanciate a se stesso e ai compagni in ogni allenamento, i riti per trovare la carica o la concentrazione, tutti i retroscena della preparazione ai match e i motivi per cui, semplicemente, per lui perdere non è mai stata un’opzione. E ancora: la volontà di superare il dolore e rinascere ogni volta più forte dopo i tanti infortuni patiti in carriera, i suoi maestri, lo studio maniacale degli avversari – da Michael Jordan a LeBron James – per carpire loro ogni segreto possibile e migliorare, migliorare ancora e ancora fino all’ultimo minuto dell’ultima partita disputata.
Kobe Bryant. Il morso del Mamba. Dall’Italia alla NBA, la storia di un predestinato.
Non è da tutti chiamarsi come una bistecca. La scelta di Joe, grande impallinatore di retine sui due lati dell’Oceano, per il nome del terzogenito della famiglia Bryant, nacque a tavola. Proprio mentre riceveva la splendida notizia che la famiglia si sarebbe allargata, “Jellybean” stava gustando il suo piatto preferito, una bistecca Kobe, appunto, e la decisione fu immediata. Nessuno, nonostante il Dna di famiglia, avrebbe potuto prevedere che, qualche mese dopo, la data 23 agosto 1978 avrebbe segnato l’apparizione nel firmamento del basket Nba di uno dei più fulgidi e vincenti talenti di sempre. Anche perché la sua prima parte di vita, Kobe l’avrebbe trascorsa lontano dagli Stati Uniti, in Italia, dove giocava papà Joe. Un percorso di formazione umano e sportivo che ha fatto tappa a Rieti, Reggio Calabria, Pistoia e Reggio Emilia prima del ritorno negli Usa, dove Kobe inizia, fin dalla Lower Merion High School, a mietere record. Poi la scelta rischiosa di saltare il college, il draft del 1996, il gran rifiuto degli Charlotte Hornets e l’approdo nei Los Angeles Lakers. Il resto, davvero, è storia: una storia di grandi vittorie, brutti passi falsi e incredibili primati. La storia di un ragazzo e di un atleta straordinario, sempre pronto a rialzare la testa con orgoglio, per far vedere al mondo, ancora una volta, chi è il numero uno.
Dear Basketball,
From the moment
I started rolling my dad’s tube socks
And shooting imaginary
Game-winning shots
In the Great Western Forum
I knew one thing was real:I fell in love with you.
A love so deep I gave you my all —
From my mind & body
To my spirit & soul.As a six-year-old boy
Deeply in love with you
I never saw the end of the tunnel.
I only saw myself
Running out of one.And so I ran.
I ran up and down every court
After every loose ball for you.
You asked for my hustle
I gave you my heart
Because it came with so much more.I played through the sweat and hurt
Not because challenge called me
But because YOU called me.
I did everything for YOU
Because that’s what you do
When someone makes you feel as
Alive as you’ve made me feel.You gave a six-year-old boy his Laker dream
And I’ll always love you for it.
But I can’t love you obsessively for much longer.
This season is all I have left to give.
My heart can take the pounding
My mind can handle the grind
But my body knows it’s time to say goodbye.And that’s OK.
I’m ready to let you go.
I want you to know now
So we both can savor every moment we have left together.
The good and the bad.
We have given each other
All that we have.And we both know, no matter what I do next
I’ll always be that kid
With the rolled up socks
Garbage can in the corner
:05 seconds on the clock
Ball in my hands.
5 … 4 … 3 … 2 … 1Love you always,
Kobe