La seconda puntata del nostro viaggio lungo le bancarelle dei libri di seconda mano, e gli scaffali dei mercatini dell’usato, ci porta a ritrovare, e riscoprire, un volume che ha da poco compiuto i cinquant’anni dalla sua pubblicazione.
Nel luglio del 1968, infatti, vedeva la luce “Il Dio del 36° piano – Storie del futuro prossimo”, un’antologia di tredici racconti fantascientifici, curata da Carlo Fruttero e Franco Lucentini.
Per certificare la bontà della coppia Fruttero e Lucentini, basterebbe ricordare come i due siano rimasti ininterrottamente al timone della collana Urania per ben più di vent’anni.
Ma “Il Dio del 36° piano – Storie del futuro prossimo”, rende perfettamente l’idea di come, in altre epoche editoriali ormai trascorse, le opere da inserire all’interno di un’antologia come questa, venissero scelte minuziosamente, andando a scandagliare tutto l’universo della produzione letteraria di settore, proprio come fatto da Fruttero e Lucentini.
In questo caso, l’orbita di riferimento è quella della fantascienza, legata, come specificato anche nel sottotitolo, alle “Storie del futuro prossimo”: ed ecco che “Il Dio del 36° piano” diventa un percorso attraverso tredici visioni distopiche della società moderna, che cercano di precorrere i tempi, immaginando quel che avrebbe atteso l’uomo di lì a pochi decenni.
E parlando di un libro che ha visto la luce ben cinquant’anni fa, il concetto di moderno, in un’ottica specifica di futuro prossimo, diventa quanto meno attuale: quanto di quello che grandi autori come Jack Vance o Ray Bradbury hanno immaginato tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta oggi è diventato realtà?
Molto, verrebbe da dire, leggendo ad esempio “C’è posto per tutti” di James Ballard, secondo racconto dell’antologia in ordine di apparizione, nel quale l’autore rende una visione claustrofobica della Terra, che a causa di una smodata sovrappopolazione, costringe gli uomini a vivere in cubicoli di pochissimi metri quadrati. O in “L’abisso di Chigaco”, dove viene narrato di un mondo crepuscolare, all’interno del quale le persone hanno dimenticato come si vivesse in passato, se non per un anziano che ancora custodisce la preziosa memoria, malinconicamente scomparsa in tutti gli altri uomini. O ancora in “Condizionamento”, dove gli umani vivono un’esistenza simile a quella degli automi, condizionata da un piccolo apparecchio acustico in grado di cancellare il confine tra illusione e realtà. Una visione, quest’ultima, che ha profetizzato l’arrivo degli smartphone e di tutto quello che ne è conseguito?

Era questo il guaio del condizionatore acustico. Da anni Charles aveva sentito aumentare dentro di sé la ribellione contro l’apparecchio. La sera precedente, al Club, si era scaldato. Si era strappato l’apparecchio dall’orecchio per dare una dimostrazione agli amici; il gesto era stato così violento che il condizionatore era caduto sul pavimento di marmo della sala, e si era rotto. Rientrando a casa Charles si era fermato in un negozio di riparazioni aperto tutta la notte, terrorizzato dal buio, dalle strade, dalle ombre. Si diceva che accadessero cose terribili a chi non aveva il condizionatore acustico. Ma quando glielo ebbero riparato, e lui si era trovato di nuovo per la strada, si era reso conto di essere rimasto per quasi due ore senza l’apparecchio applicato all’orecchio. All’improvviso aveva capito che se mai avesse potuto realizzare il desiderio di liberarsi dal condizionatore, quello era il momento. Invece di rimetterlo all’orecchio, se l’era infilato in tasca.
Ma scendendo nel profondo dei singoli racconti, si trovano spesso dei passaggi che sembrano davvero aver anticipato il futuro, ovvero il presente che stiamo vivendo.
In linea generale gli abitanti della Città avevano completamente dimenticato le antiche libertà di cui erano stati privati, come un serpente che non ricorda le zampe di cui erano forniti i suoi antenati. tratto da “Per chi lavoriamo” di Jack Vance
Una domanda ora sorge spontanea: cosa avrà pensato chi, leggendo quest’antologia cinquant’anni fa, ha immaginato il prossimo futuro? Difficile da dire: forse qualcuno avrà sorriso, qualcuno sarà inorridito, e qualcun altro avrà chiuso tranquillamente il libro pensando che mai si sarebbe avverata alcuna di quelle visioni distopiche.
Cinquant’anni dopo, “Il Dio del 36° piano – Storie del futuro prossimo”, è una lettura che merita di essere affrontata, senza inciampare in un paio di racconti “minori”, ma vivendo un parallelismo tra quanto immaginato e scritto decenni or sono, e quanto tristemente avveratosi nel tempo.
In quel futuro prossimo, che per noi è già presente. E anche un po’ passato.