È già passato un anno dalla magica notte di Wembley, nella quale la Nazionale Italiana di Calcio guidata da Roberto Mancini ha battuto la formazione inglese aggiundicandosi Euro 2020. Una vittoria che sembra già così lontana, ma che rappresenta un crocevia fondamentale per la realtà che stiamo vivendo.
Non si tratta, infatti, soltanto di un successo sportivo, ma di un momento di svolta nel modo di vivere la socialità nel periodo del Covid: si è tornati allo stadio e a radunarsi per vedere le partite insieme, ma soprattutto si è tornati in strada per festeggiare, di nuovo, lasciando sfociare tutta la gioia che palpitava nei nostri cuori.
E in occasione di questo importante anniversario, per gentile concessione della casa editrice Lab DFG, vi proponiamo un estratto dal racconto La notte magica di Wembley, contenuto in È successo un ’21 di Mauro Giorgini, il volume che ripercorre i trionfi più emozionanti vissuti nel 2021.
I rigori sono un epilogo crudele e doloroso. Che si vinca o che si perda, se ne esce sempre svuotati dalla tensione e dalla paura. I muscoli e la testa sembrano essere sopravvissuti ad uno sforzo fuori dal normale, come i dolori di una maratona corsa in pochi minuti. Quello che accade tra un tiro e l’altro appare un tempo interminabile. L’esecuzione invece è un istante. Può essere dolce come un bacio rubato, o amara come uno schiaffo improvviso. E non si sa mai cosa riserverà il tentativo successivo. Provare a comprenderlo con un attimo di anticipo è un esercizio di illusione, si osserva ogni più piccolo dettaglio per cercare di capire cosa accadrà. Tutto viene scrutato con attenzione, dalla posizione del portiere alla rincorsa del rigorista, ogni particolare è un elemento che può essere un segno premonitore. Sarà gioia o dolore? Vittoria o sconfitta?
Ognuno vive i rigori a modo proprio. C’è chi si abbraccia e si stringe forte, perché insieme è più facile affrontare il destino. C’è chi chiude il proprio amuleto nel palmo della mano e spera. C’è chi si volta dall’altra parte e guarda nella direzione opposta, e preferisce non vedere, ma sentire il colpo sordo dello scarpino che impatta sul pallone, il boato per l’esultanza o il clamore della disperazione. E da quello, capire cos’è accaduto.
I giocatori dell’Italia sono tutti allineati al centro del terreno di gioco. A pochi metri da loro ci sono anche gli inglesi. Chi non era tra gli undici in gara al fischio finale si è accomodato a bordo campo, ognuno con le braccia sulle spalle del compagno a fianco. Solo il portiere è sul lato corto, a pochi metri dalla porta.
La lotteria dei rigori non ha ancora trovato il suo vincitore. L’Europeo si sarebbe potuto concludere pochi istanti fa, Jorginho aveva il pallone per chiudere tutto, per mettere il sigillo sulla vittoria. Ma non è andata come si sperava. Non si è ripetuto quanto visto contro la Spagna, perché ha deciso di calciare diversamente, ha provato a cambiare angolo. Ha incrociato la palla alla destra del portiere, che si è allungato ed è riuscito ad evitare il gol. Ora è tutto da rifare, o quasi. Manca un solo tentativo e a dover calciare sarà l’Inghilterra. Se Saka riuscirà a battere Donnarumma si andrà ad oltranza. Uno dei modi più crudeli per concludere la contesa. Se dovesse sbagliare, invece, sarà tutto finito.
[…]
L’Italia di finali dell’Europeo ne ha giocate tante, e ne ha anche vinte. L’ultima, è vero, l’ha persa pesantemente, ma è una cicatrice che ormai si è rimarginata. Quei quattro gol subiti dalla Spagna delle meraviglie sembrano ormai un ricordo antico e sbiadito. Sembra quasi sia passata una vita da quella notte a Kiev. Era il 1° luglio 2012 e forse una vita è passata davvero, a guardare indietro e soppesare tutto ciò che è accaduto in questi dieci anni.
Ma se Gigio sente su di sé la pressione di un intero popolo non è certo per la mera vicenda calcistica. A tenere lo stivale intero con il fiato sospeso è tutt’altro, è la voglia di ripartire, di ritornare a gioire, di respirare nuovamente un soffio di felicità. Per capire quanto tutti gli italiani stiano attendendo con ansia questa vittoria basterebbe pensare alle vicende dell’ultimo anno e mezzo.
Tutto ha avuto inizio nelle prime settimane del 2020. L’eco di quanto stava accadendo dall’altra parte del mondo ha iniziato a sentirsi anche in Italia. Un virus sconosciuto e difficile da comprendere ha cominciato a sconvolgere in Cina la vita di milioni di persone. Quella che sembrava una realtà lontana è diventata in poche settimane una quotidianità difficile da affrontare.
D’improvviso è stato il lockdown, e poi un susseguirsi di situazioni differenti e inedite. Le mascherine, i tamponi, le quarantene, gli indici di contagio e i bollettini giornalieri. Codogno, il paziente zero, le bare di Bergamo e le terapie intensive stracolme. Un groviglio drammatico nel quale è sprofondato un intero Paese, che diciotto mesi dopo ancora fatica ad uscirne.
Questo Europeo ha già rappresentato un segno di cambiamento, fin dal calcio d’inizio della competizione: quell’Inno di Mameli cantato di nuovo tutti insieme, vicini, sulle tribune delle Stadio Olimpico di Roma, ha fatto da contrappunto a quello intonato con dolore da migliaia di italiani confinati da soli sui balconi. Non più un canto di resistenza all’avanzata del virus, ma un inno di liberazione, quasi urlato, gridato.
E ora, ad un mese esatto dall’inizio, e a un rigore dalla fine, sembra quasi che il possibile trionfo all’Europeo possa riuscire a calciare via gli ultimi dolori che ancora albergano nei cuori delle persone. Certo, non cancellerebbe quanto accaduto fuori dal campo, ma potrebbe rappresentare un momento di svolta, una coppa al cielo come un punto di rottura. L’attimo zero dal quale ripartire. Tutti insieme.
[…]
La panchina dell’Italia è tutta in piedi sulla linea del fallo laterale. Giocatori e staff formano un’unica grande fila diritta, unita in un lungo abbraccio. Mancini è dietro di loro, scambia una parola con Vialli, che torna a girarsi dando le spalle alla porta, appoggia le mani al tabellone pubblicitario e abbassa la testa, nascondendo il viso sotto la visiera del cappellino azzurro.
Non ha guardato nessuno dei rigori tirati in questa finale, li vuole vivere in silenzio, aspettando il responso del pubblico. Il commissario tecnico si riporta sulla linea di metà campo, e in maniche di camicia attende la trasformazione dell’ultimo tiro. È lui il grande faro di questa nazionale, colui che è stato capace di plasmare un gruppo di ragazzi che si stimano e si rispettano come uomini, prima ancora che come calciatori. Ha fatto delle scelte importanti, selezionando una rosa formata da tanti giocatori di qualità, ma senza una stella e senza una rivalità.
Ora è lì, a bordo campo, ad attendere l’ultimo atto di questo Europeo. Che sta per compiersi. L’arbitro fischia.
Saka fa tre passi sul posto prima di correre verso il dischetto.
Calcia con il sinistro ad incrociare.
Il pallone parte a mezz’altezza, e non molto angolato.
Donnarumma si allunga sulla sua sinistra e con la mano aperta respinge il pallone, che schizza verso il centro del campo.
Sono le 23:54 dell’11 luglio 2021.
L’Italia è Campione d’Europa.
Per acquistare il libro su Amazon.it clicca qui.
Per acquistare il libro su IBS.it clicca qui.
Per acquistare il libro su Feltrinelli.it clicca qui.
Per acquistare il libro su Libraccio.it clicca qui.