Per giudicare serenamente un libro, così come un vino, il primo passo da compiere è decontestualizzare ciò che si sta leggendo e ciò che si sta bevendo.
Bisognerebbe strappare via la copertina dal libro e l’etichetta dalla bottiglia, perché spesso sono due elementi che possono fuorviare nella reale valutazione di cosa si sta affrontando.
Può capitare, infatti, che rifugiandoci tra le righe che sappiamo essere state scritte da uno dei nostri autori preferiti, o rintanandoci tra i vitigni di una delle nostra cantina del cuore, il legame di stima e di affetto possa addolcire le percezioni di ciò che si sta realmente vivendo.
Ma cosa accade quando anche senza la copertina sul libro e senza l’etichetta sulla bottiglia sappiamo riconoscere le mani di chi ha creato quel che abbiamo di fronte?
Provate a prendere, ad esempio, Borgo Sud, l’ultimo romanzo di Donatella Di Pietrantonio, uscito lo scorso anno per Einaudi: anche privandolo di tutti i riferimenti riportanti il nome dell’autrice, appena iniziata la lettura si ha subito la percezione di quali mani hanno digitato quelle parole.
È un percorso di riconoscimento, che chiaramente prevede la conoscenza delle opere della Di Pietrantonio: anche senza andare alla ricerca del suo esordio letterario, avvenuto ormai dieci anni fa quando pubblicò Mia madre è un fiume, ma partendo dal più recente L’Arminuta, si entra subito in contatto con una produzione dalle caratteristiche fortemente riconoscibili.
Lo è per il contesto nel quale sono ambientate le opere: l’Abruzzo, la sua terra natia, che ha influenzato anche il suo stile narrativo, dove si possono apprezzare espressioni dialettali che sono un vero e proprio tributo alle sue origini.
Così come Borgo Sud è un vero e proprio capolavoro moderno, un libro che rende al lettore l’emozione di immagini potenti, quasi come degli scatti fotografici che appaiono improvvisamente durante la lettura: merito del suo linguaggio essenziale e della capacità dell’autrice di creare una tensione emotiva che rimane costante per tutta la durata del romanzo.
È un’altra storia fatta non solo di persone, ma anche di luoghi, come Pescara e il suo quartiere dei pescatori, che diventa lo spazio dove ci si trova a muoverci seguendo il tratto della penna della Di Pietrantonio.
E provate a prendere una bottiglia di Pepe Nero, il Montepulciano d’Abruzzo prodotto da Stefania Pepe: un vino biodinamico certificato 100% organico, ottenuto da uve diraspate a mano e fermentate senza l’utilizzo di lieviti o anidride solforosa. La sensazione inebriante all’olfatto, con profumi intensi e complessi, fatti di sentori di frutti di bosco, prugne, amarene, mandorle e spezie, e il gusto fresco al palato, merito della sua acidità e di un corpo pieno e morbido, giustamente tannico, sono immediatamente riconducibili alla cantina teramana e alla sua fondatrice.
Anche bevendone da una bottiglia alla quale è stata tolta l’etichetta, si riconoscerebbe subito la mano che ha raccolto con amore i grappoli, perché il Pepe Nero porta con sé la storia e la filosofia dei vini Pepe.
Non capita certo spesso, ma a volte si riesce a decodificare, anche senza riferimenti diretti, ciò che ha in sé le caratteristiche dell’unicità, come i libri di Donatella Di Pietrantonio e i vini di Stefania Pepe, due donne d’Abruzzo, che mettono la loro terra in tutte le loro produzioni.