Dal TopoDrone al TopoWalkie: viaggio nei ricordi estivi di un lettore di Topolino

Tutti coloro che hanno già preso in edicola la loro copia di Topolino uscita ieri, mercoledì 14 luglio, avranno avuto modo di scegliere se acquistarlo senza allegati, o con l’innovativo gadget proposto in abbinato: il TopoDrone, un vero e proprio drone dotato di controller, che può volare fino a 30 metri d’altezza, ed è capace di essere comandato per compiere acrobazie aeree mozzafiato.

La prima parte, rilasciata con il Topolino numero 3425, si completerà con l’uscita successiva, la prossima settimana.

Un gadget, quello del TopoDrone, che ha aperto i cassetti della memoria dove vengono custoditi i ricordi legati a Topolino, e ai tanti accessori estivi usciti ormai molti anni fa, e che mi ha fatto compiere un salto indietro nel tempo di esattamente ventotto anni.

Era l’estate del 1993.
Un Cornetto Algida Super costava 1.200 lire, così come il mitico Cooky Snack.
In radio spopolavano gli 883 con “Nord, Sud, Ovest, Est” e Jovanotti con “Ragazzo fortunato”, e Carlo Azeglio Ciampi era Presidente del Consiglio dei Ministri, l’ultimo prima dell’era Berlusconi. Proprio il Milan si era laureato Campione d’Italia, da poche settimane, per la seconda volta consecutiva, e in quei giorni di luglio si stava correndo l’ottantesima edizione del Tour De France, che sarebbe stata vinta per il terzo anno di fila da Miguel Indurain, e che aveva visto in giallo per due giorni un giovane Mario Cipollini, vincitore della seconda tappa.

Era il luglio del 1993, e avevo poco meno di dieci anni.
Come premio per una pagella scolastica finale densa di ottimi voti, fui mandato a trascorre l’estate in montagna, a casa di mia nonna, arroccata in un paesino di quaranta anime nel cuore dell’Appennino aquilano. Come si potrà facilmente immaginare, in paese non vi erano esercizi commerciali, se non un bar, che a pranzo diventava un piccola trattoria per i turisti e gli avventori della zona, mentre la sera prendeva le sembianze di un’osteria, con le carte che frusciavano sui tavoli, scartate dagli anziani del posto che si giocavano un fiaschetto di vino.

Ero un bambino che veniva dalla città, ma della metropoli, e più precisamente della Capitale, non sentivo affatto nostalgia.
In paese non c’era nulla, ma per me c’era tutto, e al bisogno con mia nonna eravamo soliti inforcare la bicicletta e percorrere i due chilometri di pianura che ci separavano dal paese più vicino, magari per andare a fare un po’ di spesa.
Nel paese vicino vivevano poco meno di cinquecento persone, e proprio sulla piazza principale, alla destra della facciata della chiesa, c’era un piccolo negozio di generi vari, di quelli che entri per comprare un filone di pane e due etti di prosciutto, ed esci con due borse piene di acquisti.

La proprietaria, una signora gentile e sorridente come erano le anziane di una volta, vendeva anche i giornali, e alla mia prima spesa dell’estate, le chiedevo di mettermi da parte una copia di Topolino, non appena fosse arrivata, con la promessa di andarla a ritirare quanto prima.
Si trattava di un’abitudine che avevo preso da un paio d’anni, perché seppur non mi interessasse nulla di quanto lasciavo ogni giugno in città prima di salire in montagna, a Topolino non sapevo, e non volevo, rinunciare. Era il mio passatempo durante le prime ore del pomeriggio, quando, per combattere il caldo estivo, mi rifugiavo all’ombra di una tettoia nell’orto di mia nonna, e viaggiavo con la fantasia leggendo le storie dei miei personaggi preferiti.

Quell’estate di ventotto anni fa, però, la ricordo con grande affetto, anche per le vicende legate a Topolino: il primo numero, che comprai dalla signora sorridente e gentile del negozio in piazza, era il 1957, quello che diede inizio alla collezione della 313 di Paperino, della 113 di Topolino, della macchinina di Pluto e di quella di Paperina.
Ma quanto venne anticipato già dal numero 1959, sconvolse definitivamente la mia estate: l’uscita del Topowalkie, infatti, fu qualcosa di davvero rivoluzionario. E non tanto per la struttura a puntate dell’uscita di quel fantastico walkie talkie, che ti imponeva di attendere la settimana successiva per avere il pezzo seguente, quanto perché, nella mia mente di bambino, rappresentava il primo grande contatto con la tecnologia.

Già nel corso dell’estate precedente, infatti, raccolsi con amore le quattro uscite che componevano il Topojolly, senza però desiderare più di tanto il momento di sfoggiarlo tra i miei compagni di scuola, perché quello avrebbe significato la fine dell’estate, delle vacanze, della montagna, e delle letture all’ombra di una tettoia nell’orto di mia nonna.
Il Topowalkie, invece, rappresentava il gioco applicato alle vacanze, l’attesa legata a doppio filo al divertimento, a quell’irrefrenabile voglia di un’estate che non volevo terminasse mai.

E dev’essere stato così non solo per me, ma anche per l’altro milione centomila duecentoottantaquattro bambini che quell’estate corsero in edicola per accaparrarsi le cinque uscite con in allegato i pezzi del Topowalkie, facendo registrare il record assoluto di vendite per il numero 1964, ad oggi ancora il Topolino più venduto di sempre.

Un pezzo di storia, della mia storia, con il quale giocavo tra le querce dell’Appennino, e nel quale ho cercato, spesso inutilmente, di trovare un interlocutore dall’altra parte della frequenza.
Un’estate lontana ventotto anni, ma vicinia e nitida nei miei ricordi.
Un’estate nella quale ho passato tante volte la linea, ma che nel mio cuore non ho chiuso mai.

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