Vie di fuga: se la maglia rosa scrive il libro del momento.

Una band torinese che si chiama Mambassa qualche anno fa cantava “Via di fuga” una canzone-flusso di coscienza in cui la domanda delle domande era questa: quella che sto facendo può essere la scelta giusta se vedo una via di fuga? Leggi come: ha senso impegnarmi se già vedo un piano B o una exit strategy come si direbbe oggi in tempo di recovery plan.

La risposta oggi sarebbe diversa, soprattutto per chi ogni giorno cerca di spiegare la vita raccontando il ciclismo: la via di fuga non è il dubbio, ma è la risposta. La via di fuga è la strada da imboccare per provarci. Per non avere rimpianti, un giorno quando ci volteremo a guardarci indietro.


Terreno di conquista e grandi imprese, ma soprattutto di fatica e sogni infranti, le fughe animano il ciclismo fin dalla sua nascita.
Non c’è corsa ciclistica che non sia caratterizzata dal tentativo, apparentemente velleitario, di uno o più coraggiosi interpreti affamati di protagonismo e libertà. “Andare in fuga” nel ciclismo significa fare più fatica degli altri, scendere a patti con avversari imprevisti e imprevedibili, prendere in mano il destino di una giornata o di una carriera. Talvolta significa anche esplorare se stessi in profondità.

Il libro lo ha scritto Bidon che tecnicamente è un collettivo di scrittori e giornalisti appassionati di ciclismo, ma praticamente preferiscono farsi chiamare “piccola officina di paese”, di quelle dove vai a parlare di ciclismo e corse pure se non devi riparare una camera d’aria. Ma lo fai giusto per.

“Vie di fuga” è un piccolo omaggio ai fuggitivi, insostituibili compagni di tanti pomeriggi trascorsi a osservare il ciclismo. Una raccolta in cui vengono ripercorse alcune fughe celebri, e in cui soprattutto ci si interroga sulle motivazioni che spingono i fuggitivi a una scelta tattica talmente azzardata da sembrare irrazionale. Completa la raccolta un piccolo diario dall’ultimo Tour de France di Alessandro De Marchi (attualmente in questi giorni maglia rosa grazie proprio a una fuga) nonché uno dei grandi fuggitivi del ciclismo dei giorni nostri mentre la prefazione l’ha scritta Enrico Brizzi.