Patria: storia di un graphic memoir

Graziella Mapelli è una bambina costretta a crescere in fretta, in un clima dominato dalla guerra e dal rigore ideologico. La scuola, il tempo libero, le manifestazioni di paese e le trasmissioni radiofoniche, ogni aspetto della sua giovane vita contribuisce al suo lento e inesorabile processo di indottrinamento al credo fascista, fino al sorgere dei primi dubbi. Attraverso ricordi e pagelle, articoli di giornale, foto e cartoline d’epoca, la nipote Bruna Martini ricostruisce passo dopo passo l’infanzia di zia Graziella, immergendosi nell’album di famiglia che diventa, pagina dopo pagina, una preziosa indagine storica sull’intera nazione. In un tempo dominato dal desiderio di governi autoritari, Patria, crescere in tempo di guerra è una testimonianza che vuole offrire un contributo alla discussione sul Fascismo e le sue tecniche di propaganda, per riconoscerle e imparare a combatterle.

Abbiamo intervistato l’autrice del libro e nipote di Graziella: Bruna Martini.

Partiamo dall’inizio. Bruna, mi spieghi cos’è un graphic memoir?
Già dal titolo e dall’occhiello in copertina, Patria. Crescere in tempo di guerra si configura come un graphic memoir. Questo termine si riferisce al carattere autentico, storico-biografico delle vicende raccontate nel fumetto. Patria parte dalla testimonianza diretta di mia zia Graziella, classe 1932, educata nel credo totalitario della scuola fascista. Il suo spaccato personale diventa il punto di partenza per una storia più ampia e collettiva; la Storia, appunto, con la S maiuscola, la Storia di un’intera nazione. Ho scelto di soffermarmi su una vicenda vera, raccontata in prima persona con dettagli vividi e coinvolgenti, provando così a conservare intatto il carattere di autenticità e freschezza del racconto orale. È così che chi legge tende ad immedesimarsi nella piccola Graziella. Sia esso un giovane che non ha avuto esperienza diretta del fascismo, o un nonno che ancora conserva le pagelle in soffitta, il lettore si ritrova nelle vicissitudini della protagonista di Patria. E questo senso di empatia e identificazione sono resi possibili non solo dal contenuto (il memoir) ma soprattutto dall’aspetto visivo (il graphic). La mole sconfinata di fotografie, documenti, immagini di oggetti fascisti; le figurine, le mappe, le cartoline dell’epoca; tutto contribuisce a creare un apparato visivo coinvolgente che trascina il lettore dentro un mondo autentico e spietato.

E c’è una correlazione tra memoir e scrittura quasi esclusivamente in rima?
L’espediente narrativo della rima baciata non è tipica del graphic memoir, ma ha senso nel contesto specifico del fascismo. I testi del fumetto si presentano come una lunga filastrocca dal tono cantilenante e paternalistico, che rimanda alle antologie dell’epoca e ai fumetti della prima metà del ‘900. Nella stesura di Patria mi sono immaginata che il libro fosse un diario scritto ogni giorno dalla piccola Graziella. La rima diventa una delle poche concessioni alla fanciullezza e al gioco in cui Graziella può indulgere. In apparenza gioiosa e innocente, la rima è una maschera che nasconde brutture e morti; è un trucco inventato dagli adulti per indorare la pillola e mantenere i bambini sotto ad una campana di vetro. È anche – e questo è tipico di tutti i regimi totalitari, dal Fascismo al Comunismo – uno stratagemma per inventare una realtà alternativa, di successo, ottimista, ma assolutamente finta, anni luce dal disastro della vita vera.


Patria, l’autrice racconta il libro in un video

Nel testo, la protagonista, tua zia, ha una sorta di amico immaginario. Me ne parli e mi spieghi la sua funzione narrativa dentro il fumetto?
Molti bambini hanno un amico immaginario: una sorta di protettore che svolge un ruolo psico-pedagogico importante, volto a costruire un’idea di bene e male e a indirizzare le scelte dell’infante. In Patria l’amico immaginario non è del tutto incorporeo, perché rappresenta il ricordo e l’affetto di Graziella per suo Zio Lino – costretto all’espatrio in quanto comunista. Nel fumetto, l’amico immaginario non si stacca mai da Graziella. La calma quando il fragore delle bombe le scatena crisi di panico; la intrattiene con giochi e filastrocche durante i lunghi pomeriggi nei bunker. Ma l’amico non serve solo a questo, anzi, il suo ruolo è soprattutto etico. È l’amico a far intravedere a Graziella l’assurdità delle lezioni impartite a scuola; è lui a farsi beffa dell’idolatria della figura del Duce; è lui, in definitiva, a instillare i primi dubbi nella mente curiosa della bambina. Dal punto di vista narrativo, l’amico invisibile diventa un artificio per esplorare i diversi aspetti della macchina propagandistica fascista, e per spiegare come una bambina così piccola abbia potuto sopravvivere all’assurdità dei tempi bui in cui stava vivendo.

Come hai organizzato il lavoro? Sei partita dalle interviste o esistevano anche dei materiali già scritti?
Nella stesura del graphic memoir mi premeva evitare il revisionismo storico e riferirmi con accuratezza alle fonti, così da lasciare libri e documenti del tempo parlare con la propria voce. La prima – e più lunga – fase del processo di lavoro per Patria è stata quindi quella della ricerca. Ho letto testi accademici sulle conseguenze delle politiche mussoliniane, con particolare interesse per il colonialismo, la persecuzione etnica, l’autarchia e il corporativismo. Ho ricercato come questi temi fossero insegnati a scuola e raccolto atti di legge, tesi di ricerca, riflessioni e documenti sulla scuola fascista. Le mie indagini mi hanno portato a visitare musei e archivi come il Museo della Resistenza e il Museo d’arte Urbana a Torino; a esplorare siti internet come quello del Museo delle Civiltà. Mi hanno spronato a una ricerca territoriale in negozi di libri, mercatini, solai e cantine di tutta Italia per recuperare oggetti del Ventennio. Questa fase di studio ha integrato e supportato la registrazione della testimonianza diretta di mia zia. Non avevo a disposizione testi scritti dei suoi ricordi, e così ho optato per la realizzazione di una serie di video interviste dove Graziella parla in prima persona della sua esperienza.

C’è qualche fatto o ricordo che hai preferito non mettere?
Durante le video interviste, mia zia mi ha raccontato diversi aneddoti che ho preferito omettere nella versione finale del fumetto. Ricordo per esempio un episodio in cui una Graziella adolescente, a zonzo in centro paese all’indomani della fine della guerra, si vide davanti un gruppo di giovani, forse partigiani, più probabilmente gente del posto saltata sul carro del vincitore. Questi ragazzi erano in piedi sul tetto di un camioncino che andava a tutta birra in centro città, intenti ad umiliare una serie di donne bendate dietro di loro, con la testa completamente rasata. A quanto pare queste ragazze avevano accettato i favori dei soldati tedeschi durante l’occupazione, ed erano adesso mostrate seminude, senza capelli, alla popolazione in festa. L’aneddoto rivela la complessità di un’Italia appena uscita da un regime ideologico totalitario e totalizzante; la difficoltà di fare i conti con le proprie responsabilità e l’ansia di schierarsi dalla parte dei vincenti. Ho omesso questa storia da Patria perché raccontava qualcosa di diverso rispetto al filone dominante del volume. Qualcosa di complesso, sfaccettato e contradditorio, che meriterebbe un libro a parte.

Hai avuto modo di parlare con tua zia del Covid? Soprattutto nei primi tempi della pandemia c’è stata una forte (secondo me sbagliata) sovrapposizione tra il  sacrificio che dovevamo fare noi e quello che dovettero fare i nostri nonni durante la seconda guerra mondiale. 
Come tutti, mia zia ha sofferto il lockdown. Anche se a 90 anni non si va in discoteca, mia zia aveva le sue abitudini, i suoi giri, i familiari da visitare – una vita fuori casa ricca e importante. E doversi rinchiudere in un piccolo appartamento non è stato facile. Graziella vive da sola, e da anni difende la sua indipendenza con le unghie e con i denti. La pandemia, e l’impossibilità di andare al supermercato o svolgere mansioni di prima necessità, ha molto ridotto la sua autonomia. Quando abbiamo parlato dell’emergenza sanitaria, mia zia non ha visto nessuna somiglianza tra la sua esperienza e quella degli italiani di oggi. Il suo era un sacrificio imposto dal dogma, dalla convinzione politica e militare. Ai cittadini non era richiesta un’opinione sull’opportunità di andare in guerra: se ne pretendeva il consenso e l’entusiasmo come atto di fede. Durante la pandemia, invece, agli italiani sono state offerte le fonti e gli strumenti scientifici per capire appieno la gravità della situazione. La loro è stata un’adesione consapevole. Il loro sacrificio è stato ‘positivamente egoista’: volto a garantire la sicurezza di sé e dei familiari. Il fascismo, invece, esigeva dai cittadini un sacrificio ‘negativamente altruista’: una rinuncia, cioè, al benessere personale e alla propria individualità – il tutto in nome della Patria.

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