Può un libro essere ancora attuale a distanza di quarantacinque anni dalla sua pubblicazione? O meglio, può un libro giallo esserlo?
Sì. Anzi, purtroppo sì.
Era il marzo del 1975, quarantacinque anni e una manciata di giorni fa, ed arrivava nelle librerie Fiori alla memoria, il secondo romanzo di Loriano Macchiavelli, con protagonista ancora Sarti Antonio, sergente.
Poco meno di un anno era trascorso dal debutto editoriale di Macchiavelli, avvenuto nel luglio del 1974 con Le piste dell’attentato, e quello che sarebbe diventato poi uno dei padri del noir italiano, tornava con un’altra storia ambientata attorno alla sua Bologna.
Più precisamente a Pieve del Pino, una paese nell’Appennino tosco-emiliano ad una decina di chilometri a sud di Bologna, verso Sasso Marconi, dove si sta erigendo un monumento ai Caduti partigiani: un incendio doloso distrugge parte del cantiere, e Sarti Antonio viene incaricato dalla questura di andare a svolgere un’indagine. Un attentato dei fascisti? Ma subito la situazione precipita: nonostante la sorveglianza, sul monumento appare una scritta inneggiante alla destra, e lì vicino viene trovato il cadavere di un giovane del paese. Che si tratti di un delitto a sfondo politico? Sarti Antonio si incaponisce per cercare la verità, ma se vorrà trovarla, dovrà compiere un lungo viaggio, e farsi aiutare da uno studente anarchico.
Questa è, per sommi capi, la trama di Fiori alla memoria.
Ma dicevamo: può essere un romanzo giallo ancora attuale a distanza di quarantacinque anni dalla sua pubblicazione? Pare proprio di sì.
È la notte tra il 24 e il 25 aprile scorso, ovvero tra venerdì e sabato: in Piazza Capelvenere, ad Acilia, periferia sud ovest di Roma, viene data alle fiamme la lapide posta a memoria di Lido Duranti, giovane trucidato a ventiquattro anni dai nazifascisti il 24 marzo 1994 nell’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Forse, non c’è da aggiungere altro.
Se non invitarvi, in occasione dell’appuntamento settimanale di Liberi Inizi, alla lettura di Fiori alla Memoria, del quale vi proponiamo di seguito l’incipit.
Perché, come diceva Aldous Huxley,
“Il fatto che gli uomini non imparino dalla storia, è la lezione più importante che la storia ci insegna”
1. Quando si dice la sfortuna…
La sfortuna piú grande è stata quella di venire assegnato all’ufficio dell’ispettore capo Raimondi Cesare. Tutto il resto è venuto dopo: la colite, l’inappetenza, lo stipendio sempre troppo corto, l’auto 28, l’agente Felice Cantoni, il desiderio di buttarsi dalle due torri invece che andare in servizio, le periodiche crisi sessuali, il desiderio di non sposarsi, il desiderio di sposarsi, una pistola in dotazione chiusa dentro un cassetto, sotto i fazzoletti e i calzini puliti, un caricatore ammuffito…
Quando apro il giornale mi aspetto, ogni mattina, un titolo su quattro colonne: «Sergente strangola il diretto superiore, ne sevizia il cadavere, ne occulta il pene e disperde in giro le martoriate membra». Un bel giorno Sarti Antonio, sergente, esce dal bagno, si tiene le mani sulla pancia e mi dice:
– Vado da «lui» e gli chiedo il trasferimento –. Quando è arrabbiato lo chiama «lui».
Io gli dico:
– Fai bene! – Si massaggia un po’ e fa una smorfia:
– Altro che colite! Quello mi fa morire… Ma io non ne ho nessuna voglia –. Lo guardo in faccia e lo vedo un po’ giallo:
– La colite?
– E cosa se no? – Ci pensa sopra e continua a massaggiarsi. Dice:
– Ieri sera mi ha fatto venire una crisi di nervi e adesso soffro le pene dell’inferno. Proprio ne ho abbastanza! – Cosí lo porto in ottoecinquanta fino alla Centrale; durante il viaggio Sarti Antonio, sergente, riprende un po’ di colore, con l’aria fresca che gli entra dal finestrino abbassato.
Appena Raimondi Cesare, ispettore capo, se lo trova davanti, non gli dà il tempo di aprire bocca. Gli sorride:
– Giusto te, Sarti. Capiti proprio, è vero, come si dice, come il cacio sui maccheroni… – Sarti lo guarda e riesce a reprimere un conato. Quello gli sfoglia sotto il naso il giornale fresco di stampa e gli indica, col dito, un articolo che è già segnato in rosso:
– Leggi, leggi pure! Cose da pazzi! – Sarti Antonio, sergente, legge:
– Avvertimento intimidatorio dei banditi neri al monumento ai Caduti. Ignoti, ma di chiara provenienza politica, incendiano la baracca degli addetti ai lavori.
Testo: «Questa notte è scoppiato un incendio all’interno della baracca contenente gli abiti di lavoro e gli attrezzi degli operai addetti alla costruzione del Monumento ai Caduti Partigiani che sta per essere ultimato in località Pieve del Pino, a circa 50 chilometri dalla nostra città. Tutto è andato distrutto. L’attentato, perché di attentato si tratta, è una ennesima offesa alla memoria di chi è caduto per la libertà del nostro paese e dimostra chiaramente che le autorità di polizia non vogliono far niente per assicurare alla giustizia i criminali. Nel verbale della questura, infatti, si parla di incendio dovuto a cause imprecisate. Cosa vuole la polizia?»
«Vuole che i delinquenti lascino sul luogo degli attentati una dichiarazione di colpa?»
«O vuole che siano i veri democratici a far giustizia?»
«Ci siamo recati sul luogo e abbiamo raccolto prove piú che sufficienti per dimostrare che si è trattato di un vile atto di sabotaggio…»
Raimondi Cesare, ispettore capo, gli strappa il foglio dalle mani, quando ancora non ha finito di leggere. Dice:
– Visto? Visto che roba? Noi… è vero, come si dice… siamo degli incapaci, degli incompetenti… Bisognerebbe arrestarli tutti!
Sarti Antonio, sergente, gli chiede:
– Chi ha steso il verbale?
– Ho mandato una pattuglia del 113! Cos’altro dovevo fare? Dovevo andare io? Il sopralluogo è stato eseguito assieme agli ufficiali dei Vigili del Fuoco, è vero, come si dice… Ma per quelli, noi non facciamo mai niente di logico, noi…
Getta il giornale nel cestino, ma poi lo raccoglie, lo stira, lo piega in quattro e lo infila nella tasca della giacca, appesa dietro la porta.
Si rimette alla scrivania e borbotta chissà cosa. Sarti aspetta che «lui» alzi gli occhi dalle sue carte, ma «lui» non ci pensa neppure. Dice, questa volta piú forte, tanto da farsi intendere:
– Mi farebbe proprio un piacere, è vero, come si dice…
– Prego?
Ecco che alza gli occhi, benigni, verso Sarti Antonio, sergente:
– Dico che mi farebbe proprio un piacere se lei andasse a dare un’occhiata lassú…
Sarti non ha mai avuto il piú piccolo desiderio di fare dei piaceri a «lui», però dice:
– Senz’altro!
Fa per uscire, ma poi si volta e dice:
– Cosa ne penserà quello che ha fatto il primo verbale?
– Cosa vuoi che gliene importi? Basta che lo stipendio corra tutti i mesi…
«L’amor proprio degli altri tu te lo sbatti sotto le suole, vero?» Ma non lo dice, lo pensa ed esce.
È già sul portone quando un agente lo chiama da una finestra sul cortile:
– Sarti! sergente Sarti! Ti vuole l’ispettore capo!
Risale le scale, rientra dalla porta da cui era appena uscito, guarda di nuovo in faccia l’ispettore capo Raimondi Cesare, reprime di nuovo il conato e aspetta di nuovo gli ordini.
– Lascia stare, lascia stare: manderò qualcun altro!
«Ottimo!» Anche questo non lo dice. «Lui», invece, continua:
– Mi ha telefonato il prefetto: vuole che tutte le notti ci sia qualcuno di guardia al monumento. Non vuole che si dica che la polizia protegge chissà chi…
Sarti Antonio, sergente, è proprio contento, ma quello non lo lascia contento per molto:
– Cosí andrà lei, è vero, come si dice… almeno fino all’inaugurazione –. È proprio una mazzata sul collo.
– Non sto molto bene: la colite… Anche oggi… Ero proprio venuto per dire…
– Naturalmente di giorno starà a riposo… Mi sembra logico, è vero, visto che sarà in servizio durante la notte.
– Grazie.
E questa volta se ne va sul serio. Neanche se lo chiama il presidente della repubblica, torna indietro!
Il presidente della repubblica non lo chiama e neppure Raimondi Cesare, ispettore capo. Cosí Sarti Antonio, sergente, può andare al bar a prendersi un caffè. Lo manda giú, paga e dice:
– Fa schifo!
Al ritorno, l’ottoecinquanta la guida lui e non apre piú bocca. Gli chiedo:
– Va meglio con la colite?
Non vi dico quello che mi risponde perché riguarda la mia persona e non la presente storia. Non mi preoccupo e continuo:
– Potevi parlargli del trasferimento…
Ho proprio paura che, stavolta, quello che mi risponde riguardi anche la presente storia e le storie future.
Sarti Antonio, sergente, finisce di bestemmiare poi dice:
– Quando ti parla e ti dà del lei, sta pure tranquillo che è il momento che ti frega. Ti frega che non c’è Cristo!