Letture Sportive: “Open – La mia storia” di Andre Agassi

Immaginate di prendere in mano un libro, scritto da uno dei più grandi sportivi della storia, campione assoluto della propria disciplina, e trovare scritta, a metà del terzo capoverso del primo capitolo, una vera e propria dichiarazione d’odio verso ciò che l’ha reso un uomo affermato: il proprio sport.

Non è fantascienza, ma è ciò che accade quando ci troviamo tra le mani una copia di Open, l’autobiografia di Andre Agassi, pubblicata in Italia da Einaudi.

Gioco a tennis per vivere, anche se odio il tennis, lo odio di una passione oscura e segreta, l’ho sempre odiato”.

Parola di uno che, in singolare, ha vinto tutti e quattro i tornei del Grande Slam, ha alzato al cielo per tre volte la Coppa Davis e ha messo al collo una medaglia d’oro olimpica. Nel tennis. Nello sport che odiava, ma del quale ha saputo scrivere la storia. Ma a cosa si deve questo sentimento avverso?

Agassi racconta sé stesso e la sua storia, parlando di un odio che ha radici profonde, lontane nel tempo, quando da bambino suo padre lo costringeva a sfidare “il drago”, un macchinario che lanciava incessantemente palline da tennis. Ma lui non poteva dire di no a suo padre, perché, per sua stessa ammissione, quando lui si arrabbiava succedevano cose brutte.
E allora eccolo continuare il suo percorso con la racchetta tra le mani alla Bollettieri Academy, un luogo orrendo, descritto nel libro in maniera così impeccabile, da far quasi percepire l’odore del cibo immangiabile che erano costretti ad ingurgitare, o il lezzo nauseabondo proveniente dalla vicina fabbrica.

Un’infanzia complicata, della quale si sente derubato, così come per l’adolescenza, vissuta sempre lungo linea, con l’attenzione addosso e i fari puntati sopra, carico di aspettative che lo hanno portato a diventare grande prestissimo. Basti pensare che a vent’anni è stato con Chang uno dei due protagonisti nella vittoria degli Stati Uniti in finale di Coppa Davis contro l’Australia, e che solo due anni più tardi vinceva il Torneo di Wimbledon, partendo da numero dodici del tabellone generale, e battendo nella fase finale Becker, McEnroe e Ivanisevic. Non certo tre tennisti qualsiasi.

Agassi ripercorre gli aspetti più negativi della sua carriera: tra questi, il rapporto con i giornalisti, con le bugie scritte su di lui, le etichette apposte da chi non aveva alcuna voglia di capire davvero chi fosse.

Ma in Open c’è anche la storia dell’incontro che ha cambiato la sua vita di sportivo, quello con Gil Reyes, preparatore atletico, che ha iniziato a prendersi cura non solo dell’aspetto fisico, ma anche di quello umano. Andre ricorda come durante il loro primo viaggio insieme, Gil gli abbia fatto un discorso molto intenso: “Uno dei grandi rimpianti della mia vita è di non aver avuto con me un registratore. Comunque, lo ricordo quasi parola per parola” scrive, regalando un momento di emozionante generosità.

Agassi alza il trofeo del Roland Garros 1999

La stessa generosità che è il filo che tiene insieme tutto il libro: Agassi non si risparmia mai, né quando parla dei suoi problemi fisici, come il dolore alla schiena che lo accompagnava costantemente, né quando apre alla sua vita privata, con le sue storie d’amore, soprattutto quella con la collega, e moglie, Steffi Graf. Ci sono anche i suoi conflitti interiori, come quando a Palermo nel 1995, mentre era il numero uno al mondo, si chiede che senso abbia essere in cima alla classifica dei giocatori del pianeta, quando tutto quello lo fa sentire vuoto, insoddisfatto: esce fuori il suo lato emotivo, capace di meditare il ritiro nell’apice della sua carriera, e di portarlo a vivere emozioni diametralmente opposte, passando in un attimo dalla gioia alla frustrazione, dalla serenità alla rabbia.

“E allora, a chi importa se odi il tennis? Tutta quella gente là fuori, tutti i milioni di persone che odiano ciò che fanno per vivere, lo fanno comunque. Forse il punto è proprio fare ciò che odi, farlo bene e con allegria. Odi il tennis, quindi. Odialo quanto ti pare, ma devi pur sempre rispettarlo e rispettare te stesso”.

Nelle cinquecento pagine che compongono il libro, c’è anche spazio per un’ammissione di colpevolezza: quella di aver fatto uso di metanfetamine, e di aver mentito all’ATP per evita di essere squalificato. Nel 1997, infatti, risultò positivo ad un controllo antidoping, e dichiarò di aver ingerito un cocktail di vodka, contenente tale sostanza a sua insaputa, salvaguardando, così, il proseguo della sua carriera sportiva.

Open è davvero una finestra aperta su Andre Agassi uomo, oltre che giocatore, dove poter conoscere e apprezzare tutti i lati che hanno composto uno dei più grandi campioni della storia del tennis, anche quelli meno visibili quando correva con la racchetta tra le mani.