Esiste un complesso nucleare grande quanto una mandorla, all’interno del nostro cervello. Anzi ce ne sono due, speculari. Nel punto più basso della parete superiore del corno inferiore di ogni ventricolo laterale, è situata la nostra amigdala, dal greco antico amygdala, ovvero come detto sopra, mandorla.
Dicono sia ritenuta la condottiera delle nostre emozioni. Sembra che sia capace di analizzare ogni esperienza, scandagliando le situazioni ed ogni percezione.
L’amigdala quindi fornisce a ogni stimolo ricevuto il giusto livello di attenzione, lo impingua di emozioni e, infine, stipa il tutto sotto forma di ricordo, formando il grande database che memorizza la nostra esistenza.
È l’archivio assoluto delle nostre emozioni, un fatto che la rende anche estremamente precipitosa. Essa infatti, scorrendo a velocità ipersonica lo schedario infinito delle nostre emozioni, valuta spesso situazione correnti, ricercandone eventuali connessioni con esperienze regresse, anche di molto tempo fa, e se vi trova un elemento chiave che accomuna le due esperienze, agisce ancora prima che la corteccia sappia che cosa diamine stia succedendo, e questo perché l’emozione grezza viene scatenata in modo indipendente dal pensiero cosciente, e generalmente prima di esso.
La buona notizia? È allenabile. Quella meno buona è che non deve essere facile inibire uno stimolo così potente, una così piccola struttura ovoidale capace di un potere così infinito. Quando parliamo di emozioni, almeno per quanto mi riguarda, parliamo di scontri titanici sotto forma di connessioni, che ci attraversano lungo fasce neuronali, in distanze temporali infinitesimali.
Sono capitata per caso su un video di gare di apnea statica, una sfida negli abissi, seppure gli abissi qui si trovino nella testa dell’apneista, costretto a convincere la sua amigdala, che non sta soffocando, spingendo il proprio corpo, ma soprattutto la mente, verso limiti che sembrano invalicabili.
Che luogo affascinante è la mente umana. Una macchina perfetta, un potenziale che rimane un mistero inespresso, arginato nei confini della così poca conoscenza che tuttora ne abbiamo e delle nostre emozioni e paure.
Ed eccolo lì, che sforna il record mondiale di 24 minuti e 3 secondi.
Riusciamo a convincere la piccola furfante a non farci scalpitare in cerca di ossigeno per oltre 24’, portando il corpo a una condizione molto simile al nirvana, mentre sulla terraferma, perdiamo spesso e volentieri il controllo, prede facili di quelle emozioni che hanno forgiato le nostre esperienze, dove quella piccola mandorla va a pescare le sue informazioni, rendendo ogni giornata una gara infinita alla quale, spesso è impossibile prepararsi.
Ovviamente non a tutti interessa questa disciplina, così come può sembrare poco utile allenarsi per sospendere la nostra fonte vitale; ma le emozioni…
Risalgo in superficie e mi trascino sulla parte asciutta del pianeta che ospita la mia esistenza, sono nata in un paese di mare, ma l’acqua non è mai stata il mio elemento. Probabilmente arrivo a malapena a un minuto scarso in assenza di ossigeno, e sono travolta dalle emozioni con cotanta e costante intensità, che sfratterei volentieri quella drupa prepotente e ipocondriaca.
Quando cerco di penetrare il mio database di emozioni, scucendo i punti di sutura con i quali mi sono risollevata dalle mie esperienze, mi rendo conto che la mia mandorla ha molte ragioni per stravolgere il mio sistema vascolare, i miei intestini e invitarmi alla fuga contraendo i miei muscoli con indicazioni allarmanti.
Impariamo dal dolore, eppure prima che arrivasse quello, mi ricordo ancora l’amore in fondo a uno sguardo, la sensazione di tagliare un traguardo mentre osservo con la coda dell’occhio, sopra la mia spalla, l’abisso a un passo solo di distanza, dal quale sono appena risalita. Rispolvero un polpastrello dal tocco leggero, sufficiente per far ritornare a casa tutti quei pezzi sparsi nel mondo, faccio riesumare il subbuglio del mio cuore, protetto da un abbraccio abbastanza lungo, da azzerare la frenesia di impulsi confusi.
Ma c’è un incognita poderosa che la mandorla deve inserire nelle sue equazioni caotiche, quel motore pulsante che sembra possedere materia grigia propria, l’antagonista per eccellenza, ai calcoli frenetici del computer più sofisticato della natura.
L’eterna lotta fra cuore e cervello, 46 cm di distanza, l’autostrada più corta dell’universo, con un ingorgo di impulsi continui. Forse l’amigdala si fa convincere che non sto per morire restando 24’ senza ossigeno, la convinco anche a rallentare il cuore, alzo una barriera di titanio sui pensieri, e lascio la smania di controllo terrestre per fluttuare nella calma del potenziale cerebrale.
Ma su quel tratto di strada, all’interno di quei 46 centimetri, sembra non ci siano scusanti che reggano, né sentieri che portino al nirvana, il logos diventa inarrestabile, il caos prende possesso di quel che resta di una persona tuffata nella vita, dove sì, contano i momenti che il fiato te lo tolgono, ma in genere durano un battito di ciglia, lasciando la loro scia di eternità in quel corpo amigdaloideo, dal quale impulsi impazziti e prematuri continueranno ad arrivare indomabili.
Che si tratti di centimetri o minuti, che si possa allenare o meno questa fabbrica di impulsi, le emozioni umane restano un mistero, che prima di qualsiasi tentativo di controllo, va ascoltato, fatto nostro e lasciato scorrere, imparando forse la lezione più dura di tutte: il controllo può avvicinarci a quella ambizione umana di elevarsi a déi, ma che spesso, molto spesso, le emozioni più belle, quelle che ci avvicinano di più a qualsivoglia divinità, esulano da qualsiasi controllo.