La fantasia, la passione e L’isola dei morti: Fabrizio Valenza presenta il suo lavoro

*di Fabrizio Valenza

Lo so, ci sono molti scrittori, in Italia, e i romanzi gotici si scrivevano una volta, a inizio Ottocento. Tuttavia L’isola dei morti ed è nato come una visione dalla musica di Sergej Rachmaninov. I dipinti di Böcklin, poi, (quei cinque dipinti che portano lo stesso titolo), ne sono la rappresentazione per immagini. Vorrei raccontarti di cosa parla la mia storia e perché credo sia una proposta interessante.

Avevo forse dodici anni. Una delle mie fortune è di essere cresciuto con una biblioteca casalinga piuttosto ben fornita. C’erano libri di tutti i tipi. Potevo trovarne di storia, d’arte, di geografia e di scienza. C’erano libri di psicologia, addirittura di psicanalisi, per esempio L’interpretazione dei sogni di Freud, che mi affascinò fin da bambino. C’erano anche molte enciclopedie: una storia dell’Europa moderna dell’Università di Cambridge, un’enciclopedia medica e un enorme dizionario della lingua italiana dell’UTET in una ventina di volumi. Trovavano il loro posto anche le enciclopedie per ragazzi, ovviamente, essendo noi sei fratelli. Tra le altre, mi ricordo Conoscere, e c’era anche l’Enciclopedia della donna, di mia madre. In un’enciclopedia universale pubblicata nell’Ottocento, di Cesare Cantù, potevi trovare ogni genere di notizia, dal fatto di cronaca alla storia universale, dalle usanze di un determinato popolo alle descrizioni artistiche dei monumenti più famosi del mondo. Io mi riversavo dentro queste enciclopedie, per far crescere la mia fantasia. C’erano moltissimi romanzi, e non soltanto quelli che oggi si definirebbero mainstream (Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno di Henry Miller mi facevano paura solo a vederli), ma anche romanzi di avventura, di fantascienza, più adatti a un bambino. C’erano i famosi libri di Peter Kolosimo sulla fantarcheologia, che per me erano comunque romanzi, niente di più o – forse – niente di meno che romanzi, e perciò storie che parlavano direttamente alla mia fantasia.

Tra questi romanzi ce n’erano alcuni di Emilio Salgari. Lo conosciamo bene, qui a Verona, Salgari. Leggendo un suo romanzo che adesso non ricordo esattamente più nemmeno quale fosse, ciò che mi colpì fu scoprire che Emilio Salgari parlava di mondi lontani e distanti, descrivendoli minuziosamente e come se vi avesse abitato… senza esservi in realtà mai stato. Usava, per l’appunto, la sua fantasia, la sua inventiva, oltre a una buona dose di informazioni tra quelle che erano reperibili all’epoca. E all’epoca, nell’Ottocento, non erano esattamente la quantità di quelle che possiamo avere ai nostri giorni.

Torniamo alla fantasia, perciò. Uno scrittore, come nutre la sua fantasia? Io posso raccontarvi come fu nutrita la mia. Mi piaceva immaginare, è sempre stato così. Ma uno degli elementi che mi caratterizzavano e che anche oggi fanno parte del mio modo di essere, era che inventavo cose, imitavo l’esistente: lingue e alfabeti segreti, disegni e vite di grandi artisti, il mondo. Mi immedesimavo in altre vite, volevo essere tanti protagonisti, tante persone. Un bel giorno, mio padre mi regalò due o tre libri molto grandi, ben impaginati, con copertina in cartone e stoffa… ma dalle pagine completamente bianche. Quando li aprii, immaginai subito come riempirli e lì, su quelle pagine bianche, si sviluppò la mia fantasia. La fantasia, necessita di un concime irrinunciabile. La PASSIONE. Cos’è la passione, se non una specie di demone che ti entra dentro e che ti porta in luoghi inaccessibili, per raggiungere i quali fai fatica e però sei disposto a qualunque cosa, pur di raggiungerli?

C’è un elemento in comune tra me e il protagonista de L’isola dei morti, che si chiama Andrea Nascimbeni: questo elemento è proprio la passione. Andrea Nascimbeni è un antropologo che, nel 1885, si spinge fino alla cosiddetta “isola dei morti”, al largo della costa ligure, mosso dalla passione per la sua disciplina antropologica. Si è formato alla scuola di Paolo Mantegazza il primo e tra i più importanti antropologi italiani, ma il suo obiettivo lo proietta oltre ogni immaginazione: quei sepolcri aperti che vede dipinti dall’amico Arnold Böcklin in alcuni quadri che gli sono stati commissionati, gli smuovono qualcosa di importante, che nemmeno lui sa definire esattamente.

Il tema della morte lo attira su quell’isola, ma proprio lì, su quell’isola dove si reca mosso dalla sua scienza e dalla passione che nutre per la conoscenza, scoprirà innanzitutto l’amore. Poi la disperazione. Infine, l’orrore. Amore e morte sono sempre i grandi temi di ogni storia, di ogni narrazione: ne L’isola dei morti, esattamente come nel poema sinfonico di Rachmaninov al quale si ispira, questi due aspetti diventano due fiumi, a volte carsici, nascosti, ma sempre più evidenti, che nell’ultima parte della storia si incontrano per creare e mettere in scena l’eterno conflitto dell’esistenza umana.