di Cristi Marcì*
In Vedi alla voce amore David Grossman introduce il lettore in un mondo fatto di linguaggi, storie e ricordi che altro non rappresentano se non gli ingredienti principali per restituire il degno valore alla memoria. Il libro e le parole delle quali è impregnato, difficilmente si faranno leggere, a patto tuttavia che il lettore decida di lasciarsi guidare da una retorica e da uno stile ben lontani dalla logica razionale, con la quale si è soliti pensare, immaginare e ancor più raccontare vicende storiche quali l’orrore dell’olocausto. Rispetto al quale, peraltro, si è sempre adoperato un linguaggio lineare, doloroso e privo di quella speranza che tuttavia attraverso le parole dei protagonisti di questo meraviglioso libro sembrano acquisire sfumature nuove, lontane nel tempo e proprio per questo in grado di far conoscere tante trame quante sono gli stili e i modi di raccontarla.
Attraverso gli occhi dei protagonisti ciascuna delle pagine che si leggeranno, segneranno l’ingresso in un mondo rispetto al quale l’immaginazione e le parole guideranno le nostre difese e la nostra razionalità verso nuove chiavi letture. Grazie alle quali potranno sgretolarsi nei loro significati normativi ed acquisiti nel tempo, cedendo il posto ad una lente analogica, in grado di immergerci in una simbologia priva di confini e proprio per questo ricca di uno stile e di un linguaggio dai quali lasciarsi trasportare. La parola pertanto acquisisce gradualmente le sembianze di una creatura vivente capace di plasmare orizzonti simbolici rispetto ai quali il potere immaginifico altro non rappresenterà se non la normale attività grazie alla quale orientarsi tra i personaggi e i lori racconti presenti in questo meraviglioso libro. Dalla penna di Grossman prendono vita sentieri e chiavi di lettura in grado di incutere quella genuina incertezza, della quale tuttavia non si dovrebbe mai dubitare. Ma che al contrario può essere il preludio per una nuova lente attraverso la quale guardare ad un passato storico, che seppur lontano sembra altresì rivivere dentro il nostro animo anche nel momento presente.
Nondimeno la figura di Bruno Schulz, introdotta e magistralmente raccontata nel secondo capitolo, sembra richiamare con prepotenza l’attenzione di ciascuno di noi rispetto a quella capacità che al giorno d’oggi sembra gradualmente in procinto di dissolversi. Ossia quella di lasciarci raccontare e invadere da una logica lontana nel tempo e priva di quei confini spazi temporali che ne soffocano la natura creativa. Ma che di contro inviterà chiunque desideri lasciarsi leggere a prendere contatto con quell’imprevedibilità che al contrario di quanto si pensi, nel libro viene descritta quale ingrediente principale per rendere questa storia inimitabile nel suo stile e nella sua logica con la quale si presenta al suo pubblico.
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*Psicologo e accanito lettore! La Bibliopatia quale dipendenza principale è tuttavia il farmaco più indicato per scoprire nuovi mondi e nuove storie.