“È successo un ‘21” e la domanda su quale sia la mia storia preferita del libro

Quando mi trovo in giro per l’Italia a presentare È successo un ‘21, una delle domande che più frequentemente mi viene rivolta è: “Qual è la tua storia preferita tra quelle che hai raccontato nel libro?”.

Un quesito difficile, al quale è sempre complicato dare una risposta.

Anche quando la curiosità viene declinata in modi diversi come “la storia che più di tutte ti ha emozionato scrivere” o “quella che ti ha sorpreso di più” è complesso spiegare ciò che penso. E che sento.

Immaginate se ad un padre di undici figli (perché tante sono le storie all’interno del libro) uno chiedesse a quale vuole più bene, o con quale ha un rapporto migliore.
Eppure a volte non si pensa che per chi scrive, i propri racconti siano proprio come dei figli.

E quindi quando mi chiedono quale storia del libro sia la mia preferita provo a spiegare come la stesura di È successo un ‘21, ma soprattutto la fase di studio e di ricerca, siano stati per me motivo di grande accrescimento personale. Non solo culturale e sportivo, ma soprattutto umano.
Confrontarmi con le vite di grandi campioni olimpici e paralimpici, avere avuto in alcuni casi la possibilità di intervistarli, essere riuscito ad entrare nelle pieghe delle loro esistenze fatte di gioie ma anche di grandi difficoltà, è stata senza dubbio un’esperienza unica.

Ogni tanto, poi, questa domanda mi risuona dentro, e allora mi chiedo da solo: “c’è davvero una storia alla quale sono più legato?”.

In questi ultimi giorni il responso è affiorato autonomamente, come accade con quelle emozioni che non riesci più a tener dentro e le riveli al mondo nel più sincero dei sorrisi.
Quei sorrisi che ti solcano le labbra quando al mattino rimani imbambolato venti minuti con la tazza del caffè in mano a guardare su uno schermo una partita di pallacanestro, e alla fine ridi lo stesso anche se quel che bevi è ormai freddo. E appena arriva il termine dell’incontro, tra un sorso e l’altro, prendi il telefono per programmare la sveglia per non perdere l’inizio della gara successiva.

Ed è proprio quello che mi è accaduto nei giorni scorsi mentre a Tel Aviv la Nazionale Italiana Femminile di Pallacanestro Sorde ha giocato il suo primo Campionato Mondiale di Basket 3×3.
Certo, era una Nazionale in formazione ridotta, perché in questo tipo di manifestazioni si partecipa con solo quattro atlete, tre in campo e una sul cubo pronta ad entrare. Ma era pur sempre un’espressione di quella squadra che ad ottobre dello scorso anno, a Pescara, si è laureata Campione d’Europa, proprio pochi giorni prima che È successo un ‘21 diventasse un progetto embrionale sotto forma di un elenco di nomi.

La Nazionale vittoriosa all’Europeo di Pescara

Ricordo ancora quel foglietto scritto di getto con una serie di vittorie che secondo me, più delle altre arrivate nel 2021, meritavano di essere raccontate perché rappresentavano una piccola grande rivoluzione.
Al primo posto, segnato con un corsivo non molto elegante c’era proprio la Nazionale Italiana Femminile di Pallacanestro Sorde. Non conoscevo personalmente nessuna di loro, né mai mi era capitato di vederle giocare dal vivo, ma avevo seguito la loro avventura continentale e ne ero rimasto assolutamente ammaliato.
Mi ero ripromesso che se avessi dovuto scrivere un libro sui successi più belli di quell’anno non avrei potuto non scrivere di loro! Non avevo dubbi e non avrei accettato un “no” dall’editore.
Rifiuto che, per mia grande fortuna, non arrivò, così come per nessuna delle altre storie che avevo selezionato.

E così mi misi subito alla ricerca di un contatto con quella realtà che desideravo così tanto scoprire a fondo.
Scrissi a Beatrice Terenzi e qualche giorno più tardi ci parlammo in una videocall. Mi raccontò di come nacque la Nazionale, delle difficoltà incontrate, delle fatiche vissute e di quanto la gioia di Pescara avesse riempito il loro cuore. Poi, una alla volta, parlai anche con coach Sara Braida, con Capitan Simona Cascio e con Simona Sorrentino.
Durante quelle chiacchierate scrissi pagine e pagine di appunti che rimasero ferme sul desktop del mio computer per molte settimane. Sentivo una così grande energia in quella storia che avevo paura ad affrontare la stesura del racconto.

La prima vittoria della lista divenne così l’ultima ad essere scritta, perché volevo esser certo che quanto sarebbe stato pubblicato rendesse rispetto e giustizia ad un gruppo di persone che aveva saputo cambiarmi con le loro azioni e con il loro esempio. Volevo che trasparisse tutto l’impegno e la dedizione, la passione e l’attaccamento alla maglia azzurra che quelle ragazze e il loro staff avevano dimostrato non solo vincendo l’Europeo di Pescara, ma arrivandovi dopo un cammino complesso durato anni. Volevo che si sentisse il calore di un gruppo che non è solo una squadra, ma una famiglia.

E oggi, a distanza di quasi tre mesi dall’uscita di È successo un ‘21, se qualcuno dovesse chiedermi nuovamente qual è la storia preferita del libro forse non saprei ancora rispondergli.

Ma se qualcun altro avesse l’intuizione di chiedermi a quale mi sento emotivamente più legato dopo averne scritto le vicende, di certo non avrei dubbi.

Perché quel che sa cambiare la traiettoria delle nostre giornate e dei nostri pensieri è ciò che portiamo più profondamente dentro.

P.S.: a dimostrazione che quanto fatto quasi un anno fa non è stato qualcosa di episodico ma il frutto di un percorso virtuoso, la Nazionale Italiana Femminile di Pallacanestro Sorde ha vinto a maggio la medaglia d’argento alle Deaflympics, i Giochi Olimpici silenziosi, e sabato scorso si è messa al collo la medaglia di bronzo nel Campionato Mondiale di Basket 3×3, dopo aver battuto per ben due volte la nazionale statunitense.
Un oro, un argento e un bronzo in meno di dodici mesi. Mica male.