di Paquito Catanzaro*
Non aspettatevi qualcosa di convenzionale. D’altronde se si parla di George Best ci si deve preparare a tutto e al suo contrario. Mi ha conquistato “Belfast boy” (Milieu edizioni), il libro d’esordio di Stefano Friani che – svestiti, per un attimo, i panni di editore (Racconti editore ndr) – si mette alla prova raccontando uno dei più grandi talenti calcistici del secolo appena trascorso, al pari – per lo meno dal punto di vista letterario – di Pelè e Maradona.
«Questo libro» confessa «nasce da una partitella fra amici editoriali. Un editore che sapeva della mia passione per il calcio inglese mi ha chiesto “Perché non scrivi un libro su George Best?” Ho detto istintivamente sì e il gioco era fatto». Un reportage narrativo nel quale non si racconta soltanto il talento irlandese, ma pure un periodo storico rivoluzionario sotto tanti punti di vista.
«George Best» continua Friani «era un figlio del suo tempo, un periodo in cui l’ascensore sociale sembrava non avere un ultimo piano e continuava a salire. Se nel Regno Unito il ’68 non ha la stessa rilevanza che ha avuto da noi o in Francia, in quell’anno in cui i baby boomer si prendono la scena George Best solleva la coppa dalle grandi orecchie e vince il Pallone d’oro, insomma è in cima al mondo e ha solo 22 anni. Di lì in avanti potrà andare solo peggio e nei fatti il nostro si infilerà in avventure tardocoloniali e malinconiche e vivrà come un tradimento delle tante premesse e promesse rivoluzionarie il ’77 del punk, la fine dell’edonismo, l’arrivo della tattica sui campi da gioco. Questa è la parte della sua carriera che mi interessa di più: quando si arruola per una squadra ebraica in Sudafrica e tocca con mano l’apartheid, quando vivrà una tarda giovinezza con un Fulham hollywoodiano o presunto tale, quando terrà a battesimo il soccer americano oppure cercherà l’ennesima rinascita con l’antica maglia degli Hibs a Edimburgo. È arrivata la deindustrializzazione e anche George non ci crede più nel mito del progresso infinito».
Un George Best che conquista per le sue prodezze in campo ma anche e soprattutto per le sue debolezze. «I vincenti sono generalmente noiosi ma ciascuna epoca ha i suoi sportivi: la nostra generazione ha osservato e premiato due automi inflessibili come Ronaldo e Messi che hanno fatto di tutto per battere ogni record personale e di squadra annichilendo gli avversari mentre al cinema si andavano a vedere robottoni e supereroi che sconfiggevano torme di nemici senza mostrare mezza vulnerabilità. È ovvio che si possa fare “letteratura” su questo desiderio trascendente di superare i confini del proprio corpo – ditemi che la storia di Messi non sarebbe perfetta per la Marvel in un nerd-to-superhero movie – ma io continuo a preferire la letteratura umanissima nelle debolezze e capace di stare in quel territorio di mezzo che è l’ambiguità, e un personaggio come Best pubblico come privato, che ha frequentato l’alta società come i criminali veri, capace di nefandezze di ogni tipo e di gesti di grande generosità, si presta decisamente meglio alla pagina».
Una lettura veramente interessante, perfetta per chi ama la narrativa sportiva, imperdibile per chi vuol conoscere la storia di uno dei calciatori più letterari del ’900. A tal proposito: chi potrebbe essere il George Best contemporaneo?
«Il nuovo George Best» conclude l’autore «c’è forse già stato e si è trattato di un eroe tragico: Paul Gascoigne».
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*Paquito Catanzaro lavora come addetto stampa della casa editrice Homo Scrivens e come insegnante di ludoteatro in una scuola materna. Coordina il blog Il Lettore Medio e ha una passione smodata per le figurine dei calciatori Panini. Ha pubblicato tre romanzi e una raccolta di racconti sul calcio.