La ricchezza della vigna sta nella ricerca degli interstizi, del dettaglio, del contenuto.
Parola di Lorenza Ludovico, che, dopo esser tornata a Vittorito, ha applicato all’azienda vinicola del padre l’esperienza maturata in tanti anni di teatro.
Non è la forma ad essere importante, ma la sostanza.
Parafrasando questo concetto, si potrebbe affermare che è importante cosa si dice e non come.
Un pensiero forse estremizzato, ma che se contestualizzato all’interno di un percorso di ricerca e di riscoperta delle proprie radici, conduce a percorsi umani e culturali di importanza fondamentale.
La sostanza di quello che siamo è l’insieme degli elementi che hanno composto, e continuano a comporre, la nostra esistenza: i luoghi vissuti, le persone incontrate, le esperienze fatte.
Ma anche, la lingua utilizzata, le espressioni delle quali ci riempiamo la bocca.
Parla come mangi è forse il modo di dire che meglio calza a quanto detto finora: è un invito ad essere semplici, ad evitare parole e strutture difficili.
E se ci dicessero parla come bevi? Come dovremmo esprimerci?
Molto dipenderebbe da quello che sorseggiamo dal nostro bicchiere.
Chi nel vino non cerca l’apparenza, spera di trovarvi dentro il biglietto per un viaggio sensoriale alla scoperta della propria terra: non sapori e odori che possano creare una filastrocca ridondante di elementi da snocciolare in un esercizio di tecnica enologica, ma un sorso di storia, il sapore della propria terra, per riscoprire i luoghi del cuore.
E allora il parlare avrebbe uno e un solo idioma: il dialetto.
Sì, perché la parlata dialettale è forse la prima che si impara da bambini, quella che ci si ritrova nel cuore durante tutto l’arco della vita, che si custodisce come un tesoro prezioso.
Accostare le proprie labbra ad un vino che restituisca le emozioni della propria terra natia è il viatico migliore per lasciarsi andare ad un’esclamazione dialettale.
Provate allora a stappare una bottiglia di Suffonte Cerasuolo dell’Azienda Agricola Ludovico, e ascoltate la voce del cuore, percepite l’intensità di un vino che porta nel nome il luogo dove viene prodotto.
E se le parole, dialettali, dovessero mancarvi per l’emozione, allora rifugiatevi nel Finamore: il suo Vocabolario dell’uso Abruzzese è un volume da aprire come una porta verso il passato.
Termini ormai desueti, non più utilizzati nella quotidianità, ma che possono riportarvi indietro ad espressioni ascoltate durante l’infanzia, dai nostri nonni, in quelle grande opere affabulatorie che erano i racconti di un tempo.
Un vino che racconti la storia dei propri luoghi è un sorso di dialetto che arriva dritto al cuore.