Le parole non sono neutre: gōkan

di Giorgia Sallusti*

In giapponese il termine «gōkan» (強姦, stupro) è un attacco alle donne: la parola è composta da due ideogrammi, il primo che indica forza, coercizione, e il secondo che significa malvagità o seduzione. Questo secondo carattere è composto da tre volte il carattere per donna (, «onna»), e ora è largamente considerato discriminatorio: si trova anche da solo con il significato di chiassoso, turbolento, fastidioso (姦しい, «kashimashii»).

La composizione della parola gōkan sembra intendere quasi che la vittima sia colpevole, un «se l’è cercata» ideografico. Dagli anni Ottanta a oggi la tendenza è cambiata, e si preferisce usare il termine «reipu» (レイプ), mutuato dall’inglese «rape», che specifica il crimine senza essere discriminatorio.
D’altro canto, già all’apertura del Rape Relief Center a Tokyo nel 1983 si riportava che solo il 5% degli stupri veniva denunciato (brutta parentesi: il RRC utilizza la parola gōkan nel nome in giapponese – «Gōkan Kyuen Sentā»).

Nel vecchio testo della legge del 1907 sullo stupro (強姦罪, «gōkanzai») si parlava di 姦淫 («fornicazione forzata», e ritroviamo ancora quell’ideogramma con le tre donne turbolente), e solo con la riforma del 2017 si è passati a un più neutro 強制性交, «kyōsei seikō» o rapporto sessuale forzato.

Le parole non sono mai neutre, e un altro esempio da aggiungere è il verbo 嬲る «naburu», che significa “ridicolizzare, prendere in giro, maltrattare”: l’ideogramma alla radice del verbo è composto da due segni per «uomo» che rinchiudono al centro quello di «donna».

Inquietante.

(Ringrazio per alcuni suggerimenti Federica Lippi e Asuka Ozumi.)

*Giorgia Sallusti (Roma, 1981) è libraia e bibliofila, yamatologa, femminista. Scrive di libri su alcune riviste, tra cui Altri Animali e minima & moralia.