Quando leggerete queste poche righe… beh vorrà dire che saprete già leggere e comprendere un testo, quindi direi che siamo nel 2030 e forse i vostri primi ricordi calcistici saranno quelli di un mondiale appena concluso. O chissà cosa ci saremo inventati per farvi piacere (o forse non piacere) questo gioco così assurdo che però ci fa battere tanto il cuore.
Dovete sapere che c’è stato un tempo, ma sicuramente ve ne avranno parlato i vostri genitori, in cui non si poteva uscire di casa, non ci si poteva abbracciare e nemmeno tenere per mano. Un tempo in cui servivano vaccini e speranze, ma anche gioia e felicità. Un tempo segnato da un Virus che ha ridotto il mondo in ginocchio e che per quasi due anni ci ha tenuto col fiato sospeso.
In quel tempo lì, in cui nulla sembrava andare bene, anche un gesto semplice come dare un bacio ai vostri nonni era quasi impossibile. Ecco in quel tempo lì c’è stato un mese (precisamente dall’11 giugno all’11 luglio) in cui abbiamo pensato che in fondo tutto pian piano possa tornare al suo posto, aggiustarsi, rifiorire, tornare a casa.
In quel mese lì, che poi è il mese in cui vi sto scrivendo io in questo momento, si svolsero gli Europei di calcio. Manifestazione che si sarebbe dovuta svolgere un anno prima, ma che – a causa del virus di cui vi ho appena raccontato – si tenne esattamente con un anno i ritardo. La sera dell’11 luglio fu la sera della vittoria dell’Italia. Della nostra vittoria. E pure della vostra. Quando direte la vostra data di nascita tutti penseranno a quella sera dell’11 luglio. Sarete come benedetti. Sarete la classe del 2021, quelli che sono nati sulle macerie di un mondo devastato dal virus, ma anche quando l’Italia alzava al cielo la coppa e ripartiva.
In quel mese esatto sono successe tante cose che ricordarle tutte è quasi impossibile. Però ci provo e ve le elenco perché dentro ognuna di queste – in fondo – c’è una lezione di vita che se vorrete, potrete imparare.
Mi ricordo della Danimarca. Non per la semifinale raggiunta, ma per quello che ha fatto vedere in campo proteggendo Eriksen, un suo giocatore e uomo simbolo, dopo il malore. Eriksen era quasi morto, dissero i medici, e mentre si cercava ci tenerlo in vita i suoi compagni si misero davanti a lui, per proteggerlo dagli sguardi indiscreti. Per conservare e preservare la dignità di un uomo che in quel momento lottava tra la vita e la morte. Furono dei momenti lunghissimi, per fortuna finiti bene.

L’attesa. Delle partite. Il capire dove vedere e con chi vederle. La gioia di prendere una birra all’aperto, guardare la televisione e sentire crescere un sentimento collettivo che dopo un anno e mezzo non era più paura, ma voglia di vivere e riprenderci tutto. Sì partendo anche da un campionato europeo di calcio.
Il gol di Schick. Chiedete ai vostri genitori di farvi vedere un bel gol. Probabilmente vi mostreranno anche questo gol.
Pronunciare la frase Siamo in finale. Sentite come suona bene? S I A M O I N F I N A L E ! E sapete poi perché? Col tempo imparerete che le semifinali sono le partite più belle. Quelle che vi ricorderete di più e meglio. Le finali sono più brutte, peggio giocate e ve le ricorderete soltanto se le vincerete. (O se le perderete in malo modo).
La squadra: L’Italia di Mancini ha messo in campo 25 giocatori su 26. Non ha mai giocato soltanto il terzo portiere Meret. Non c’era la stella a cui ruotavano tutti attorno, ma forse è stata questa la forza principale. L’esserci tutti e sempre. Il fare gruppo.
Le persone dentro gli stadi. Si tratta di strutture progettate per ospitare eventi e gente. Finalmente dopo oltre un anno di chiusura tornarono a svolgere il loro compito primario.
Lionel Messi. Come dite? Sapete già che si tratta di un campione argentino e cosa c’entra con gli europei? Beh… ha vinto la Copa America la notte prima che noi vincessimo il Campionato d’Europa. E ci riuscì dopo tante finali perse e andate a vuoto. In molti lo incolpavano per questo e fu bellissimo quando a fine partita tutti i suoi compagni di squadra che potevano festeggiare in qualsiasi modo decisero di correre verso di lui. Perché essere i più forti non significa essere i meno sensibili. Anzi…
Un consiglio per la vostra vita sentimentale del futuro:
Luis Enrique. Per quello che è stato, per quello è, e che sarà. Anche per quello che ha detto. Perché raramente una sola persona sa contenere dignità umana e sportiva come ha saputo fare lui durante la semifinale persona contro di noi soltanto ai calci di rigore.
Viva Lucho! Roma ti ama e sarà sempre casa tua.
Il villaggio europeo di Roma a Piazza del popolo. Mezza mattinata in giro per stand a raccogliere gadget e a parlare con la gente. A fare gli scemi, a tenersi per mano, nella città più bella del mondo. Mancavano pure questi momenti e in quei giorni ritrovammo anche quelli.
Ciao Raffa! A un certo punto è successo anche questo. Che un simbolo come Raffaella Carrà, una nota donna di spettacolo di quando voi non eravate ancora nati, mancò proprio durante gli ultimi giorni dell’Europeo. E così accadde che le sue canzoni, la sua arte, la sua passione si mischiarono alla narrazione sportiva. Titoli di giornali, video, feste di piazza all’urlo di come è bello far l’amore (e tifare Italia) da Trieste in giù. Uno spettacolo. Per la sua memoria, per i nostri ricordi.

L’abbraccio tra Vialli e Mancini. La storia di un’amicizia, la storia di una vita. La storia di una malattia, la storia di una sconfitta nei primi anni 90 e quella di una vittoria l’11 luglio del 2021. C’è tutto questo in quell’abbraccio lì. C’è la voglia di essere felici che dovrebbe essere un diritto e che a volte non lo è. C’è la voglia di normalità. C’è la voglia di tornare a vivere. C’è il senso della vita in quell’abbraccio. Un gesto semplice che per tanti mesi abbiamo dimenticato. Ecco, a voi nati nel 2021 auguro in fondo solo una cosa: di non dimenticare mai la bellezza di un abbraccio. Buona vita!