Paolo Maldini, 1041. Una biografia non scontata

di Paquito Catanzaro*

«Io sono leggenda».

Paolo Maldini è uno di quei calciatori che, dall’alto della sua grandezza, avrebbe potuto pronunciare una frase del genere senza correre il rischio di far indignare qualcuno. Ma proprio perché così grande Paolo Maldini non ha mai pronunciato parole simili. Tuttavia le statistiche, le bacheche e soprattutto i fatti fanno di lui il più forte terzino sinistro di tutti i tempi.

Lecito aspettarsi che qualcuno raccontasse la sua carriera, non che lo facesse in modo atipico scrivendo la biografia di un calciatore e quella di un ragazzo cresciuto nella seconda metà degli anni ’80 e avvicinatosi al calcio proprio grazie a lui.

«Mi sono reso conto che la figura di Maldini» dichiara Diego Guido, autore di “Paolo Maldini, 1041” edito da 66thand2nd «è sempre stata letta con eccessiva superficialità. Lo si è idealizzato togliendoli umanità e appiattendo le complessità che lo rendono un personaggio tutt’altro che banale. Troppo spesso la grandezza dei risultati sportivi e il suo peso istituzionale hanno oscurato tutto il resto. Sentivo il bisogno di restituire a quella narrazione un approccio meno scontato, meno prevedibile. Maldini non è divino e approfondendo sul serio le sue scelte, le sue parole, le sue convinzioni ne esce un ritratto più umano che rende ancor maggior merito alla sua storia nel calcio».

Due biografie che s’intrecciano: da un lato Paolo, dall’altro Diego (un ragazzo col più calcistico dei nomi); un gioco di equilibri narrativi reso possibile – strano ma vero – grazie alle imperfezioni.
«Il mio rapporto, da spettatore tifoso, con Maldini» riprende Guido «è stato sempre di rispettosa soggezione. Lo percepivo infallibile, adulto (abbiamo quasi vent’anni di differenza), era un monumento e per questo mi suscitava più rispetto che non affetto. Non potevo sentirlo vicino come invece sentivo vicino Ambrosini, un altro simbolo del Milan tra la fine dei Novanta e il primo decennio del Duemila, quasi mio coetaneo e certamente più fallibile, imperfetto, direi normale. Lavorando al libro ho scoperto un uomo tutt’altro che distaccato e tutt’altro che infallibile. Certamente fermo su alcune convinzioni inalienabili ma allo stesso tempo pronto a ricredersi se lo ritiene giusto. Un uomo sorprendentemente impulsivo, autocritico, orgoglioso, anticonformista, estremamente geloso della sua professionalità e della sua libertà di pensiero. Che tuttavia ho sentito generoso verso di me e il mio lavoro, credo grazie al fatto che abbia capito che tipo di ricerca personale volevo condurre e con quale linea stilistica».

Un Maldini che ha vinto tanto ma che ha avuto pure l’umiltà di definirsi uno dei calciatori più perdenti della storia. «Ha considerato le sconfitte una parte del suo lavoro. Certo le soffriva (più di quanto lasciasse trasparire), ma non le viveva con rimpianto. Trovava gli stimoli dentro di sé, non gli serviva trovarli in una sorta di spirito di rivalsa. Più che il dolore della sconfitta lo alimentava la fame di vittoria, la voglia di assaporare quelle sensazioni di piena soddisfazione professionale ed emotiva».

Maldini, protagonista in campo durante gli oltre vent’anni di carriera, impegnato adesso a costruire un nuovo ciclo. Cosa aspettarsi dai rossoneri? «Di questo Milan sto amando la capacità di mettere a terra idee e progettualità. Da quasi dieci anni non si viveva una stagione di vertice e da quasi venti non si vedeva una campagna acquisti fatta per costruire un ciclo. In questa stagione sono tornate entrambe le cose. Si respira un’aria di progettualità, di competenza, di coerenza, di serietà che mancava da molto tempo».

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*Paquito Catanzaro lavora come addetto stampa della casa editrice Homo Scrivens e come insegnante di ludoteatro in una scuola materna. Coordina il blog Il Lettore Medio e ha una passione smodata per le figurine dei calciatori Panini. Ha pubblicato tre romanzi e una raccolta di racconti sul calcio.