Ieri nel corso di una diretta sulla pagina Facebook della casa editrice Round Robin si è svolta la presentazione del libro Bergamo anno Zero scritto dal giornalista Tiziano Rugi.
Nel libro medici e operatori sanitari che hanno affrontato in prima linea l’emergenza Covid-19 e hanno assistito impotenti al dilagare del virus nella città di Bergamo, raccontano le drammatiche settimane che hanno vissuto, tra speranze e paure.
Sono un medico di terapia intensiva, un’infermiera e un infettivologo di un reparto Covid creato in pochi giorni, un anziano medico toscano partito con la Croce rossa per aiutare i colleghi bergamaschi, una giovane guardia medica, due medici di famiglia e la direttrice di una Rsa che ha visto decimati i suoi anziani ospiti. Testimonianze di chi si è trovato in prima linea contro il virus, voci che sono anche un mezzo per denunciare quello che non ha funzionato nella gestione dell’emergenza: mascherine introvabili, tamponi che non vengono fatti, il contagio che si diffonde negli ospedali, la sciagurata delibera della regione per ospitare i pazienti Covid nelle Rsa, i dati che non tornano e la zona rossa che doveva essere fatta ma nessuno ha scelto di fare.
La diretta, moderata da Chiara Baldi de La Stampa e alla quale hanno partecipato anche Paola Pedrini segretario generale FINMG Lombardia e Guido Marinoni, presidente dell’ordine dei medici e degli odontoiatri di Bergamo è stata l’occasione per ascoltare, dalla viva voce dell’autore e dei protagonisti, i fatti che sono stati (e sono ancora oggi) al centro della cronaca e del dibattito.
“Il libro è un’inchiesta sul campo che mette in fila una serie di mancanze e di pecche che hanno caratterizzato Bergamo come la città italiana più martoriata dal Coronavirus nel corso della prima ondata”. – esordisce Chiara Baldi nella diretta entrando subito nel vivo del libro.
Da non lombardo (è toscano ndr) l’autore ammette di essere stato spinto a raccontare i fatti di Bergamo per causalità. In quel periodo per lavoro si trovava in Lombardia e ha quindi assistito in prima persona e da vicino al peggiorare e al precipitare degli eventi. Ancora prima della pandemia c’era qualcosa che non andava nella tanto decantata sanità lombarda. Qualcosa che si percepiva anche nelle piccole realtà, come l’assenza dei medici di base nei piccoli paesini.
Questo libro ha due anime – dice Rugi – una più giornalistica e di inchiesta su questi problemi. Dall’altro volevo sentire le persone Chi era stato sul campo a gestire l’emergenza. Mi interessavano le loro storie, i loro racconti. Parlare con queste persone è stato doloroso, mi ha messo in difficoltà. In più di un’occasione i miei interlocutori sono scoppiati a piangere rivivendo quelle giornate così difficile.
Le cose potevano andare diversamente?
Forse, ma la regione con le migliori eccellenze ospedaliere, che attrae pazienti da tutta Italia, da anni si era dimenticata la medicina del territorio e la prevenzione. Così la tragedia diventa uno spunto per ripensare una sanità che è stata spinta troppo nelle mani dei privati, perché la pandemia ci ha ricordato che il compito delle istituzioni è tutelare il benessere della comunità.
Il libro di Rugi è un pugno nello stomaco che ci sveglia e sbatte in faccia la realtà. Cosa poteva essere fatto diversamente a Bergamo? E in Lombardia? Nella regione della (percepita) perfezione sanitaria che è diventata – nel male – un simbolo di quest’epoca.
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