“Economia dei sentimenti”: Nesi e il suo viaggio/diario nella pandemia

di Paquito Catanzaro*

Lo confesso: il primo pensiero è stato “Tutto, ma non un istant book”.
Ormai saturo dei continui stimoli provenienti da mass media e social mi sono avvicinato con un po’ di diffidenza a “Economia sentimentale”, il nuovo romanzo di Edoardo Nesi edito da La Nave di Teseo. Ma per fortuna i libri sono in grado di sospendere il tempo e tutto quel che contiene, notizie comprese. Pertanto, con quel tempo sospeso a disposizione mi sono goduto uno dei romanzi più interessanti di questo 2020.

A dieci anni di distanza dal racconto della sua Prato operaia – in quello “Storia della mia gente che gli valse il Premio Strega – Edoardo Nesi torna con un romanzo nel quale la pandemia non è che un espediente narrativo per parlare di sentimenti: quelli che legano un uomo alla propria terra e alla propria famiglia, in particolare alla figura paterna.
Un padre raccontato attraverso la metafora di Muhammad Alì; un padre che diventa figura evanescente ma non si appiattisce, anzi diviene la fonte d’ispirazione di una storia scritta durante il lockdown.
Nesi approfitta del silenzio della sua terra per riflettere su quel che è successo da marzo a maggio e sulle conseguenze che la pandemia avrà sul piano sociale ed economico.
Va da sé che un cacciatore di storie come l’autore toscano coinvolga nella narrazione l’economista Enrico Giovannini, tenuto ore al telefono per comprendere se il corona virus intonerà il requiem per l’economia italiana oppure regalerà un’inaspettata occasione di rilancio per interi settori commerciali.
Trova spazio, tra le pagine, anche il rapporto coi figli: viscerale al punto da fregarsene di protocolli o eventuali isolamenti. L’affetto filiale – quello che tanto gli manca quando pensa al padre imprenditore – è aria pura nei polmoni di una narrazione fluida e ben ritmata, nella quale la lingua toscana (con alcuni incisi e modi di dire) si mescola efficacemente con l’italiano e permette a Nesi di giocare con la realtà plasmandola a misura delle sue intenzioni narrative.
Ci si trova di fronte a qualcosa in più del reportage narrativo. È un diario per scrivere il quale è necessario camminare tra le strade di una Firenze senza accenti stranieri; assaporare vini e cibi locali, per ritrovare un contatto con le origini; ascoltare una esperta voce amica per cercare di tendere i fili della realtà e farci passare in mezzo la vera cronaca che, assai spesso, non finisce sui giornali ma nelle pagine di un libro.
Un libro che – a mio parere – farà strada. Com’è giusto accada per le belle storie.

*Paquito Catanzaro lavora come addetto stampa della casa editrice Homo Scrivens e come insegnante di ludoteatro in una scuola materna. Coordina il blog Il Lettore Medio e ha una passione smodata per le figurine dei calciatori Panini. Ha pubblicato tre romanzi e una raccolta di racconti sul calcio.