La brasilena, il Topolino e l’Arma dei carabinieri. Fausto Vitaliano ci racconta la Mezzaluna di Sabbia

Questa estate riflettevo sul perché noi italiani siamo così affezionati ai gialli e alle storie di “indagine”. La risposta che mi sono dato è che i commissari della letteratura fanno ordine nel caso e questo ci dà conforto. Ci piace sapere che alla fine di quelle pagine ci sarà una spiegazione logica a tutto. Per mezzo della penna e della mente di Fausto Vitaliano entra a far parte di questo club anche Gori Misticò, maresciallo in aspettativa dei Carabinieri che vi conquisterà nel giro di una decina di pagine. Qualche giorno fa ho fatto due chiacchiere con Fausto e abbiamo parlato del suo ultimo lavoro, La mezzaluna di sabbia.

Mi sono innamorato di Gori Misticò quando ho scoperto i suoi lati meno legati all’Arma, quelli più umani… la passione per la Brasilena o l’amore per Topolino solo per dirne un paio. Puoi raccontare la genesi di questo personaggio così pieno di sfaccettature, ma al tempo stesso così schietto e semplice?

Gori Misticò era un super-sbirro, un maresciallo dei carabinieri di un reparto anticrimine a Milano. Aveva a che fare con gente pericolosa, delinquenti con cui pochi vorrebbero a che fare. Era, insomma, un investigatore con i super poteri. Poi si ammala di una brutta malattia, e questa sua nuova condizione gli fa uscire delle fragilità che lui non sospettava di avere. Gli fa sorgere delle contraddizioni che mai prima d’ora si era posto. Ridiventa umano, in un certo senso. È come se avesse dimenticato tutto quello che sapeva. Deve imparare di nuovo a vivere. E da quel momento ho cominciato a raccontare la sua storia.

In una recensione di qualche settimana fa ho descritto Gori Misticò un imperfetto positivo e tu mi hai detto che lui ci si sarebbe trovato alla perfezione in questa definizione. Perché?

La tua definizione ha descritto molto bene come prima della malattia Misticò sapeva (o pensava di sapere) cosa fosse giusto e cosa sbagliato. Aveva idee nette e ben delineate: di lì il male, di qua il bene. Era un uomo, per così dire, perfetto e compiuto. Dopo la malattia quella pretesa perfezione viene meno. Ci sarebbe di che sbandare. Ma Misticò scopre anche una nuova caratteristica del suo essere, qualcosa che neppure lui sapeva di avere, o che forse riteneva che gli non gli servisse: la possibilità di migliorarsi. È qui che trova la nuova forza che gli serve per andare avanti. E, quindi, in questa sua nuova imperfezione, diventa positivo.

Gori Misticò: carriera in aspettativa, condizioni di salute instabili, scheletri negli armadi dichiarati… eppure ha ancora tanto da dire. Dove hai trovato gli appigli narrativi per raccontare tutto il non detto di un uomo che sembrerebbe aver detto tutto?

Come diceva Walt Whitman, tutti noi siamo vasti e conteniamo moltitudini. Gori Misticò riteneva che quello che c’era da fare lui lo avesse già fatto. Non si riteneva un uomo “arrivato”, quello no. Gli mancavano ancora troppi pezzi, passati e presenti. Ma era certo di avere raggiunto una propria compiutezza. Ma, a causa della malattia e del trasferimento da Milano in Calabria, il suo punto di vista deve necessariamente cambiare. È costretto a vedere nuovi orizzonti, territori a cui finora non aveva fatto caso. Sta a lui decidere se esplorarli oppure rimanere sulla riva. Ed ecco che scopre che tutta questa compiutezza era una falsa idea. Io mi sono limitato a raccontare questa sua nuova partenza.

Un altro personaggio con cui è impossibile non empatizzare è il Brigadiere Capo Federico Costantino… di lui che mi dici?

È un personaggio a cui sono molto legato. Mi riconosco molto più in lui che nel protagonista. È il discepolo di Gori Misticò. Un discepolo che, però, deve confrontarsi con un maestro riluttante, un insegnante che apparentemente non gli vuole insegnare proprio niente, che ritiene di non avere niente da insegnare. Ma Federico Costantino è una spugna, assorbe tutto, elabora tutto, introietta e metabolizza. È abituato ad ascoltare, più che a parlare. Ho scoperto, con una certa sorpresa, che mi assomiglia davvero tanto.

In generale ho apprezzato il fatto che ogni personaggio , anche secondario, avesse un piccolo momento di intimità col lettore. Una contestualizzazione che ti facesse capire chi fosse e perché si muovesse tra le pagine del giallo in quel modo.

Rischio di dire qualcosa che può sembrare retorico, ma mi esporrò ugualmente al rimprovero. Nel corso di una storia – specie in un romanzo, che ha tempi lunghi di elaborazione e stesura – da un certo punto in poi sono i personaggi e ritagliarsi ciascuno il proprio spazio. Lo scrivano può giusto fare da ambasciatore delle loro richieste. Non ho particolari meriti.

C’è tanto mondo Disney dentro la Mezzaluna di sabbia. Cosa risponderebbe il maresciallo davanti alla domanda: Ma dove lo hai letto, su Topolino?

Risponderebbe: Sì, l’ho letto su Topolino. E tu, invece, le tue belle idee da dove minchia le hai prese? Magari da uno di quei giornaloni importanti che fanno titoli tipo “Calano fatturato e PIL ma aumentano i gay”? Ma vedi di farmi il piacere. Io preferisco Topolino!

Tra l’altro mi hai fatto ragionare sulla sessualità di Battista e sulla stronzaggine di Zio Paperone… la prima sinceramente non l’avevo mai considerata… la seconda l’ho sempre “letta” come caparbietà.

Tra colleghi sceneggiatori disneyani di tanto in tanto ci si scambiano opinioni riguardo agli aspetti meno trattati dei personaggi. La sessualità di Battista è uno di quegli argomenti. Su cui, devo dire, c’è una certa concordanza di vedute. Quanto alla stronzaggine di Paperone, devo dire che quella è un’opinione di Gori Misticò. Io, come te, amo profondamente quel personaggio, lo ritengo un genio visionario, un romantico, un creativo. Sì, certo, è anche avaro. E con Paperino fa spesso lo stronzo. Ma chi non ha difetti?

Che mi dici delle due citazioni pugilistiche in esergo?

Si tratta di due frasi pronunciate da due tra i più grandi personaggi dello sport. Non solo della boxe. Della storia sportiva. Muhammad Ali e Mike Tyson. Ali diceva: “La battaglia l’ho vinta o l’ho persa lontano dai testimoni, nelle retrovie, in palestra e poi là, per strada. Ben prima che io cominci a danzare sotto queste luci.” Iron Mike ribatteva: “Tutti hanno un piano. Finché non prendono un cazzotto in faccia.” Sono due maniere, opposte e speculari, di vedere lo stesso problema. Le ho scelte per evidenziare come le nostre convinzioni funzionano teoricamente benissimo, finché non ci capita qualcosa di devastante. Da quel momento, i nostri progetti, anche quelli più elaborati, devono essere rivisti. A Gori Misticò capita esattamente questo. Anche lui prende un cazzotto in faccia. Quel cazzotto si chiama cancro. Da quel momento, quello che prima funzionava, ora non funziona più. Bisogna cambiare piano. Trasformarsi, in un certo senso, da Ali in Tyson.

In un’Italia dove il primo partito chiede porti chiusi tu dai una seconda chance a un paese calabrese grazie all’integrazione con i ragazzi di un centro accoglienza. In un mondo ideale sarebbe la soluzione delle soluzioni. E invece…

A San Telesforo Jonico, l’immaginario paesino (ma sarà davvero immaginario?) dove è ambientato il romanzo, non ci sono più giovani. Sono tutti emigrati. Sono rimasti solo vecchi e cani randagi. Una situazione che provoca diversi problemi, compreso il fatto che non ci sono più braccia robuste in grado di portare in processione la statua di un santo. E non ci sono più nemmeno musicisti della banda comunale. La soluzione potrebbe esserci: organizzare la prima processione multietnica. Chissà, un giorno potrebbe anche capitare davvero.

Una cosa che ti avranno già chiesto in molti… ci sarà un seguito?

Un seguito ci sarà. Sentiremo ancora parlare di Gori Misticò. Ma non a lungo.

Prendendo spunto dal sottotitolo mi permetto di dirti che – se ancora non hai deciso cosa ne sarà del protagonista… – a noi lettori piacerebbe anche avere a che fare le penultime e le terzultime indagini di Gori Misticò.

Appena sento il maresciallo glielo dico! Deciderà lui…