di Paola Turco
Ore 8.00.
“Figlio 1, l’ombrello sta nello zaino. Quando ti riprende la mamma di L, non cadere dal pero dicendo che non lo hai, dovesse piovere”.
“Figlio 2, guarda, metto l’ombrello in questo scomparto, lo vedi? Così quando esci lo prendi, sempre appunto se dovesse piovere”.
Ore 13.
Noè mi compatisce dalla sua arca mentre scendo dalla macchina e cerco di raggiungere a piedi con tacchetto e stivale sfodero ormai zuppo l’entrata di Scuola 2. Osservo con un mezzo ghigno sconcertato tutti i bambini delle altre classi: sandali, vestitini sbracciati, canotte agostane. Le maestre cercano di individuare i genitori tra visi mascherinati e distese di ombrelli e mentre lo fanno i bambini si inzuppano al punto che quando si uniscono al loro congiunto (cit) sono da strizzare.
Scempiagginih, (ari-cit). Io, Mamma di Figlio 2 dalle tre bustine richiudibili, dai pacchetti di fazzoletti sempre pronti e, da oggi, dal rotolo di carta igienica pronto per l’uso dentro il terzo scomparto dello zaino, forte dell’esperienza di 4 anni di primaria di Figlio 1, non le faccio più certe corbellerieh.
Il ghigno sconcertato diventa però puro terrore quando intravedo Figlio 2 scendere i quattro scalini che lo portano in cortile a maniche corte, senza giacca, senza ombrello, senza felpa, il tutto mentre dal cielo piove un vero e proprio Niagara.
Sono certa che in questo momento Munch stia invidiando il mio urlo muto.
“FIGLIO 2! FIGLIO 2! E la felpa? Dov’è la felpa??” Urlo – stavolta davvero – quando è ancora a distanza.
Indica lo zaino.
“E la giacca?!? Dove hai messo la giacca?!?”
Come sopra.
“L’ombrello!!! Figlio 2 L’O M B R E L L O!!!”
Fa spallucce.
Tento di fermare il calcolo delle probabilità che il mio cervello fa scattare in automatico senza che io possa fare nulla per impedirlo (Gli verrà la febbre? Magari un raffreddore? Mal di gola?! Oddio dovrà fare il tampone. E dove si fa il tampone?! Al drive in? Al drive out? Dal pediatra?) e mi fiondo da Figlio 1 che, forte di 4 anni di felpe perse, giacche mai trovate, ombrelli dimenticati, mi aspetta nei pressi di Scuola 1 all’angolo della strada appena asfaltata a tempi record da Virgì con ombrello aperto e felpa con cappuccio.
Bravo ragazzo.
Il tempo migliora. È proprio il clima adatto per una bella riunione in presenza rigorosamente all’aperto con la Dirigente della Scuola 2.
Sarà ormai la quarta riunione che indice in poche settimane, ma una parola è troppa e due sono poche dice qualcuno. E poi in fondo la Dirigente è una persona concreta. Ci metterà poco. È una in gamba lei. Alla fine è pure piacevole starla a sentire mentre snocciola a macchinetta il protocollo, il regolamento, l’orario, il tempo scuola.
Ed è lì che ci racconta dell’ennesimo incontro con la ASL, il tutto mentre ci presenta il nostro Referente Covid, quando accade l’inimmaginabile.
“Scusi signora Preside – chiede timida una mamma con doppia mascherina – se un bambino sta male a scuola, voi come vi comportate?”. Domandone. Ma lei non si sottrae, e ci introduce a colui che nei prossimi mesi diventerà il nostro migliore amico: il protocollo. Genitori, questo è il Protocollo. Protocollo, questi sono i Genitori: abbi pietà di loro.
Viene però interrotta mentre enuncia la variabile 3 della probabilità 4 dell’ipotetico contagio di alunno a seguito di rapporto con congiunto, disgiunto o mai raggiunto.
“Sì ma… quindi chiamate la famiglia solo in presenza di febbre a scuola?”
Ari-domandone. Ma lei, ancora, non si sottrae. E riprende laddove aveva interrotto dopo aver soddisfatto anche questa curiosità.
“Sì ma… ecco, mettiamo il caso: mio figlio ha 38,5. Vomita. Il pediatra mi dice di fare il tampone. La scuola a questo punto cosa fa?”
La Dirigente sorride. Bisogna essere pazienti, quest’anno più che mai, con noi poveri genitori.
“Signora carissima: lei è in prima, giusto?”
“Sì…”
“Immagino che mi stia facendo un esempio…” sorride benevola.
“No no, le sto parlando di un caso reale”
Cala il silenzio. Il sorriso della Dirigente sparisce.
“Non ho capito signora, mi perdoni: suo figlio si è sentito male a scuola?” e getta un’occhiata fulminea alla povera Referente Covid.
“No. Si è sentito male appena uscito da scuola. A casa aveva 37.6 e adesso ha 38.5 e vomita. Il pediatra ha detto che dobbiamo fare il tampone e allora mi domando: come funziona?”
Attorno alla mamma sospetta Covid, il vuoto. È così che funziona. Padri che si scansano. Mamme che si allontanano. Mascherine che si fanno aderire al volto quasi a volerle tatuare. Si solleva un vociare sconcertato che fa giungere alle mie orecchie la domanda che qualcuno le rivolge a debita distanza: in che prima stai tu??? Nel momento in cui capto che la risposta non coinvolge la classe di Figlio 2 smetto di cercare su google “Tampone pediatrico veloce dove farlo”.
“Signora, mi perdoni…”
La dirigente non perde il suo aplomb e riprende in mano la situazione ormai fuori controllo.
“Lei ha suo figlio a casa con la febbre”
“Sì”
“Il pediatra le prescrive il tampone”.
“Sì”
“E lei partecipa ad una riunione a scuola con altri genitori”
“Sì”
“Non è una domanda”.
Sipario.
To be continued…