Letture romaniste: Kisandostan

Se pensi a un comune denominatore tra Roma e Brescia pensi inevitabilmente a Carlo Mazzone.
Certo, forse un po’ ti verrà da pensare anche a Roberto Baggio, soprattutto al suo gol segnato alla Juve nella stagione 2000-2001 o a Pep Guardiola. Ma molto, molto di meno. Sostanzialmente è a Mazzone che corre il pensiero di un romanista medio.  Carlo Mazzone, con la sua voglia di non nascondere mai quell’accento romano – che vale più di una carta di identità –  pur avendo vissuto così poco dentro il raccordo nel corso della sua carriera e della sua vita.
Pensi al Brescia (prima) e a Mazzone (poi).
Chiudi gli occhi e in un attimo sei lì. Al suo fianco mentre sfida il settore degli atalantini. Si agita, si dimena, urla qualcosa che – labiale più, labiale meno – suona come: Si faccio tre vengo là sotto.

E poi fa tre. Nel senso che il Brescia conclude una rimonta pazzesca fissando il risultato sul 3-3 e lui prende e parte. Corre a testa alta e pugno chiuso vero lo spicchio dello stadio che raccoglie i tifosi dell’Atalanta. Urla qualcosa di facilmente interpretabile e nessuno lo riesce a fermare.

Mazzone in quel momento si scorda il suo ruolo, la sua professione e pure il suo stipendio. Tre elementi che gli imporrebbero un atteggiamento decisamente diverso. Mazzone in quel momento pensa solo a una cosa: ho fatto tre e dato che era stato insultato per tutta la partita, era stata insultata la sua città per novanta minuti ha fatto qualcosa che non avrebbe mai fatto nessun altro allenatore, ma che forse avrebbe fatto qualsiasi romano con un po’ di fegato. Chiudere il pugno, dimenarlo in aria e correre. Mantenere una promessa, sostanzialmente.

Se penso al Brescia penso prima di tutto a questo momento che coinvolse nel settembre del 2003 l’allenatore romano e romanista, ma poco (nel senso di per poco tempo) all’interno dei confini della città. Mazzone ha costruito la sua romanità lontano dalla Capitale e questo, fosse un qualcosa di misurabile, avrebbe un doppio valore. Come un gol in trasferta.
Il libro da leggere prima di Roma – Brescia (domenica 24 ore 15) è Kisandostan di Ciro Teleffe. Di Kisandostan abbiamo già parlato in passato su queste pagine. Quindi io parlerò del’autore, sostanzialmente. Si tratta delle prima opera di Ciro Teleffe, nom del plum di Simone C ,che proprio come Mazzone è molto romano, incredibilmente romanista, ma da tanto non vive più nella città eterna. Motivo per cui, probabilmente, sente molto più di tanti suoi conterranei l’appartenenza a quell’irregolare macchia ricolma di buche, traffico, gente scazzata e autobus in fiamme. Ma pure cieli che ti sorprendono, una pizza a taglio ogni trecento metri e gente sconosciuta che ti sorride senza un motivo preciso. Perché le va.

Simone, pardon Ciro Teleffe, scrive bene e ci fa sognare con il suo lavoro. Ci richiama ambienti alla Benni (è un complimento), ma poi ci mette un tocco tutto suo per rendere unico il primo lavoro di un autore che – siamo certi – non si fermerà a questa prima opera. Ciro Teleffe è Mazzone. Buono e caro ma non fatelo arrabbiare, non toccategli Roma, non scherzate con la sua romanità. Valori importanti che acquistano un peso diverso se non vivi più dentro quella città, un po’ come chi vi sta scrivendo.
Chissà, forse il suo Kisandostan non sia, provocatoriamente, proprio la sua ex città. E se Kisandostan fosse in parte, anche Roma?

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Kisandostan di Ciro Teleffe
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pp. 202
12,50 euro