Dubi in certezzze: gli invisibili e il loro coraggio

Premetto, con non poca ignominia, di iniziare questo articolo, con una esigua conoscenza dell’argomento che andrò a trattare.

Quando Alessia mi chiese di recensire il suo libro, una richiesta che mi ha colto di sorpresa e che mi onora, ammetto di aver temuto di non esserne all’altezza. Alessia affronta il diverso, l’invisibile, o meglio la nostra paura, la paura di qualcosa che non conosciamo, qualcosa di cui la società di oggi bolla come qualcosa da evitare, e la paura che ci incute educandoci a emarginare quello che non comprendiamo o non vogliamo conoscere perché diverso, quella paura ha un solo nome: ignoranza.

E non parlo solo della stupidità e dell’atteggiamento che rivolgiamo a certi argomenti, ma sopratutto a quell’incapacità di ascoltare, di dare l’occasione a qualcosa che esula da quella “normalità” tanto professata, di entrarci in relazione con quell’empatia che non necessariamente è accettazione, ma è buonsenso che proviene da una mente aperta ma sopratutto è figlia di quell’umanità che continuiamo a seppellire sotto l’ipocrisia, il conformismo e un falso perbenismo.

Quando ho iniziato a conoscere Alessia attraverso le sue pagine, non mi sono fissata sul diverso, essendone io stessa un esempio per ragioni diverse, non sono partita dai pregiudizi dei quali io stessa sono vittima, ma ho rivolto la mia attenzione all’essere umano che la raccontava, al dolore che l’ha permeata, e alla solitudine nella quale ha trovato il coraggio di esistere.
Alessia è un corpo libero, è un’anima che si è ascoltata e ha deciso che esistere in quella “normalità”, cavallo di battaglia di questo mondo, non bastava. Ha deciso che quello che sentiva, quello che voleva essere era più forte di un pregiudizio, dell’ignoranza, e sul suo coraggio ha costruito la donna che è oggi.

Ma il mondo non fa sconti, è crudele, blasfemo, violento, fondato sulla virilità di un patriarcato che non ammette debolezze, di un matriarcato che ama la sua prole ma che spesso sceglie di girarsi dall’altra parte, abbandonando, per paura e per quel primo pensiero che ci sommerge essendo figli di un’identità sociale: cosa dirà la gente?

Prigionieri in quella virilità malata nella quale io vedo solo ignoranza, violenza, aggressività, sopruso, furia, abuso di un qualche potere che riteniamo ci appartenga; oppure di quella supremazia che pensiamo di poter sfoggiare perché “normali”, perché ligi delle regole sociali esistiamo nel nostro involucro immacolato, seguendo con imbarazzante e finto desiderio, che crediamo nostro, tutto quello che ci viene imposto per poter essere accettati; coloriamo dentro righe che altri hanno tracciato per noi, e guai a addentrarsi nel ignoto, mentre non ci accorgiamo nemmeno che siamo solo estranei a noi stessi.

Una società che ci permette di specchiarci in ogni dove, ma che ci impone di riflettere solo ed unicamente il riflesso che lei decide per noi, pena l’emarginazione, il pregiudizio, l’irrisione, lo scherno, l’omofobia, per non parlare dell’offesa, dell’umiliazione e di quel odio che non ha niente a che fare con l’umano, quell’essere che si professa evoluto, pensante, progredito, civilizzato. Ed è in tutto quel sviluppo che egli ridiscende nelle bassezze più misere, ben lontano da quel progresso che Pasolini ben distingueva in tempi ancora più proibitivi.

Questa esistenza simulata fatta tutta di apparenza della quale pensiamo di essere noi i comandanti, ci consuma lentamente della nostra unicità, della bellezza unica che ognuno di noi possiede e per la quale deve imparare a lottare, togliendosi di dosso quel odio che sputiamo sugli altri pur di sembrare alla moda, conformati, copie perfette di un sistema omologato. Mostriamo vite che in realtà mancano di quel coraggio che serve a farcele vivere veramente, raccontando la nostra storia, comandanti delle nostre anime.

Il coraggio di Alessia di scrivere la sua storia, di scegliere di essere la protagonista della sua vita ha il sapore della vittoria, non perché la vita sia una gara ma perché il percorso che ci conduce alla nostra Itaca va scelto con l’audacia di essere se stessi, ascoltandoci e vivendo con quell’autenticità della quale questo mondo convenzionale ha paura: ricordiamoci sempre il vero nome di quest’ultima!

La bambina invisibile è una storia, ma è anche la storia, di chi ha deciso di scrivere la propria, nonostante tutto. Si, perché la vita non è magnanima per chi osa alzare la testa, e la forza di Alessia è lì a ricordarci, con la sua fiamma, che rispettare se stessi e il proprio sentire è una battaglia quotidiana, ma che alla fine trova i suoi eroi e i suoi compagni, quegli esseri umani che tolto il velo dell’ignoranza tendono un orecchio, una mano, l’anima.

La bambina invisibile si rivela così una lettura che affonda nella nostra ignoranza e ci obbliga a emergere, a provare qualcosa, e ai più fortunati pianta i semi del dubbio, della curiosità, del desiderio di vedere oltre, discendendo negli abissi delle nostre pozzanghere mentali ci invita a lasciare la sicurezza della riva per imparare a nuotare in quel oceano di diversità che è alla base della bellezza. É la contaminazione che ci arricchisce, e più diventiamo curiosi più la conoscenza ci invade e più spazio lasciamo alla conoscenza meno ce ne sarà per la paura, madre del disprezzo, del rancore e del rifiuto.

Non sono mai stata una persona che parte dai pregiudizi, considerando che la mia storia mi ha portato a subirne, però conosco l’importanza della condivisione, perché condividendo le proprie storie, ci rendiamo contro di non essere soli, di non essere sbagliati, e che un mondo di inclusione e amore è possibile. Un mondo nel quale dobbiamo lottare, una lotta che molti hanno pagato con la vita, una vita che però non se ne va con loro, ma che rimane a ricordarci che non è odiando che possiamo contrastare il male di questo mondo, ma con l’amore e il desiderio di conoscerne tutti i colori.

Perciò ringrazio Alessia per avermi donato il suo mondo e attraverso di esso la consapevolezza che c’è ancora tanta strada da fare e che spetta a noi costruire, per un mondo che sia degno di quell’umanità che si dovrebbe sempre inalzare sopra i mali del mondo.

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