Dubi in certezze: la sospensione dell’acqua

Una torrida estate, temperature proibitive e l’acqua che scarseggia. Non oso nemmeno intraprendere discorsi climatici, scelte sociali e di governo, non credo che riuscirei a respirare in mezzo a tanta confusione. Mi guardo attorno. Sono circondata dal bene più prezioso, dalla sostanza della quale è fatta anche la maggior parte dei nostri corpi. La letteratura ne decanta la bellezza da secoli e spesso ci imbattiamo in pagine d’acqua, parole che cercano di spiegare e descrivere questo meraviglioso mistero, l’insegnamento che costantemente ne deriva. Citare solo un libro è impossibile, che siano classici o opere contemporanee, quando quel liquido lambisce le pagine non può che affascinare e ispirare.

Ma adesso non voglio pensare, i pensieri pesano troppo qua fuori, in superficie. I rumori affannano la vita. Sono un tutt’uno con il mare adesso, anche se il mio corpo estraneo gli toglie spazio, lo obbliga a prendere la mia forma, eppure lui non cambia, avvolge e ti invita ad apprendere.

Inspiro salsedine, trattengo il fiato. Mi immergo, è come una preghiera che si esaudisce, l’acqua sospende ogni cosa. Lascia tutto fuori, in quella superficie dove il mondo si ostina ad esistere. Finalmente la quiete, assenza di rumori, così pregnanti là fuori. C’è profondità quaggiù, che ti fa sentire la tua, te la fa ricercare. Non c’è fretta invece quaggiù, se non fosse che fra una manciata di secondi, o magari supero il minuto, il bisogno di respirare mi obbligherà a tornare su. I miei polmoni vorranno aria, l’aria di un mondo, che troppo spesso soffoca più di quanto dia la vita. C’è luce, ma che invece di illuminare, si riflette, rischiara con il suo riverbero. Anche il suo esistere quaggiù sembra sospendersi, fluttua in questo liquido mistero. Ne trascende la consistenza, si dipana dalle minuscole increspature della sabbia che la corrente innalza come piccole dune, fa scintillare i suoi gusci sul fondo come piccoli doni che costellano un cielo rovesciato, fugge veloce sulle squame dei suoi abitanti. Illumina in modo da farti scorgere abbastanza lontano, ma non troppo in lontananza, anche perché quel mondo ovattato esiste ben oltre la brevità dello sguardo umano e dei limiti della sua comprensione.

Libero alcune bolle, che frettolose corrono verso l’alto, non possono esistere quaggiù. Nemmeno io, e la loro fuga verso quell’altro mondo mi ricorda che mancano ancora pochi attimi. Non mi resta molto prima di dover emergere. Ritornerò, ma non sarà mai lo stesso, lo stupore, il silenzio, la meraviglia si rinnoveranno ancora e ancora, mai uguali. Mi lascio avvolgere, sento la forma dell’acqua che mi tiene sospesa, si plasma addosso a me, in continuo cambiamento, restando sempre uguale. Mi ricorda l’importanza della plasticità, senza la rinuncia della propria forma originale. Eccolo l’insegnamento supremo. Mi ricorda la dolcezza con la quale crea e la forza con la quale si contrappone a ciò che è duro. Nulla la può modificare, nulla la può fermare, esiste in tutte le forme del mondo senza mai mutare se stessa.

É tempo. Devo ritornare, riemergere dal profondo. La vastità nella quale mi immergo per brevi attimi, mi fa temere meno la mia. Anche i miei pensieri si sospendono, per un attimo rinunciano alla loro pesantezza, sembrano estasiati nel trovare così tante analogie con il mare. Non mi ero resa conto di quanto mi mancasse, mi ero quasi dimenticata di questo contatto, di questo colore con il quale sono dipinte le mie reminiscenze. Riaffioro, i ricordi mi seguono, riempio i polmoni, assaporo lentamente l’elemento senza il quale non potrei esistere, sento i ricordi riportarmi a tempi lontani. Respiro ancora, sospesa riprendo fiato e vado di nuovo giù, alla ricerca di nuove profondità e silenzi, a scolpire con forza e dolcezza ricordi futuri.

La cura per ogni cosa è l’acqua salata: sudore, lacrime, o il mare.
(Karen Blixen)

Dubravka Dacic