Dubi in certezze: come può la forma che diamo ai “perché” incidere sulla nostra vita

La prima fase dellapprendimento è il silenzio; la seconda è l’ascolto”.

Quando ho preso questo libro un posapevo già cosa ci avrei trovato. Sapevo che era intriso di quella mentalità, di quei valori, di quella bellezza che per me lo sport come la vita avrebbe sempre dovuto incarnare. Non lho solo letto, lho vissuto, lho sentito scorrere dentro, si adattava perfettamente ai miei pensieri, alle mie credenze di donna e poi di atleta.

Eppure mi ha lasciato un podi retrogusto amaro, non il libro in sé ma il fatto che tutto quello che cera scritto e che per me era lapalissiano, non trovasse questa ovvietà nel mondo che mi circondava. Personalmente vivere secondo questa mentalità ha avuto per me, una risposta negativa quando mi trovavo a impattare lambiente in cui, come atleta ma non solo, mi trovavo a vivere e lavorare. Non sto dicendo che non vale la pena coltivare tali valori, carattere e stile di vita, ma che spesso, nel mondo dello sport non è quasi mai così, a partire dalle società per finire agli stessi atleti, per non parlare poi della vita in sé plasmata prevalentemente sulla competizione e la concorrenza nonché una produttività che è diventata droga e fine della nostra società. Non mi riferisco ovviamente a quella competizione sana, necessaria per lo sviluppo emotivo, che a piccole dosi diventa una spinta che ci aiuta a migliorarci, a metterci in gioco e a raggiungere i nostri obbiettivi.

E allora nel silenzio ho intensificato l’ascolto e mi sono chiesta perché. Perché decidiamo di imboccare una strada e non l’altra, perché certi valori sono più radicati di altri e, sono valori che mi sono costruita o sono stati scelti per me? Cosa voglio ottenere ma soprattutto cosa voglio che resti sul mio cammino una volta che l’avrò percorso, cosa troverà chi dopo di me deciderà di muovere passi simili? Fin dove sono disposta ad arrivare o meglio ancora, sono disposta ad accettare che mi si dica fin qui e non oltre? Nella mia finitezza vale la pena ossessionarmi con performance in costante competizione o l’obbiettivo finale è qualcosa che va oltre una classifica, un posto nella storia, una medaglia? E se il mio perché è realmente quello, che contorni voglio dare a questa scalata e nel salire intendo arricchire il paesaggio dentro e intorno a me o semplicemente conquistarlo ferocemente facendo diventare il mio perché un fine piuttosto che un mezzo alla vera conquista di se stessi?

Ed ecco l’importanza dei nostri perché, quelli per i quali viviamo. Autorealizzarsi implica mirare e avanzare verso qualcosa o qualcuno, altro da sé. L’andare oltre se stessi. E comincia tutto con il domandarsi: perché?

Viviamo in un mondo dove l’ossessione per la produttività è il nuovo metro di valutazione, veniamo spinti spesso nostro malgrado, in vortici di competizioni costanti, dove se non abbiamo un perché forte, scegliamo dei come spesso radicali per contrastare la concorrenza, mentre ci consumiamo nella nostra ricerca di grandezza, annaspando in difficoltà psicologiche e fisiche delle quali non è quasi mai permesso parlare.

Ma che cos’è realmente la grandezza? Credo abbia a che fare con qualcosa di più grande di noi stessi. Ha a che fare con l’eredità, perché “Quello che lasciamo in eredità non è ciò che è scolpito nei monumenti – diceva lo statista Pericle – ma ciò che è intrecciato con la vita degli altri. La tua eredità è ciò che insegni”. La tua eredità è anche quello che sei, è la ricerca della tua autenticità, del tuo sé, dello sviluppare quel io autentico ed essere la persona che sei stata creata, rimanendo fedele ai tuoi valori… l’essenza dei nostri perché deve nascere dal nostro essere sinceri, reali e integri con noi stessi, dove la medaglia più ambita è il conoscersi, coltivando giardini colorati non per dar spettacolo dei nostri fiori o per far ombra a chi cerca di rendere rigogliosi anche i propri deserti, i propri inverni, ma per dispensare colore e lasciare una scia di semi alla quale chiunque possa attingere per iniziare a colorare anche i propri paesaggi.

Competizioni, concorrenza, produttività, l’aspettativa che l’ambiente e le persone che ci circondano ci attaccano addosso, sono spesso senza un perché, e nella frenesia di diventare i migliori quasi mai ci soffermiamo a cercarlo, a chiederci dove questa folle corsa ci stia portando o cosa ci stia facendo diventare. Questa escalation constante di accumulare risultati, dove nessun numero è mai abbastanza e dove tutto attende di essere superato, abbattuto, vinto, questa esasperata necessità di macinare risultati per dimostrare agli altri e a se stessi di “non essere dei falliti”, (qualsiasi cosa questo significhi) dove l’asticella va spostata sempre più in alto, ma non include mai quell’unica competizione che non ha podio né onore: portare alla luce se stessi, i propri perché, quell’eredità che nel breve cammino della nostra vita dobbiamo imparare a seminare, piantando alberi dell’ombra dei quali non potremo godere. I perché di una vita autentica, dove scriviamo la nostra storia e spingiamo gli altri a fare lo stesso, non per competizione ma perché meritiamo di vivere una vita dove i nostri perché possano bruciare senza venire spenti dagli estintori sociali, dettati dai numeri, dalle statistiche, da un mondo conformista, da chi ci richiede di eccellere senza chiederci il permesso e senza darci o permetterci di ricercare quel perché per il quale siamo disposti a dare la nostra unica esistenza.

Che si tratti di sport o di vita, non siamo fatti per essere isole, siamo invece interconnessi, senza che ciò ci impedisca o ci vieti di avere interessi personali. Ma come disse Mandela: “farai il tuo interesse così da permettere alla comunità in cui vivi di migliorare? Queste sono le cose importanti della vita”.

L’unica cosa che so è, che credo fermamente in quanto c’è in me e che ha trovato riscontro in questa splendida e incoraggiante lettura.

Quindi continuiamo a costruire seppur nel nostro piccolo, la nostra eredità!!! “Persone migliori fanno All Blacks migliori”. Io dico che una persona migliore alla volta, può lasciare in eredità un mondo migliore.

Il secondo libro della mia rubrica ha un perché potente e vi consiglio vivamente di trovare ispirazione per il vostro fra le sue pagine.

Buona lettura folks!!

Dubravka Dacic