Dubi in certezze: ali di coraggio

È buffo. Quei gabbiani che non hanno una meta ideale e che viaggiano solo per viaggiare, non arrivano da nessuna parte, e vanno piano. Quelli invece che aspirano alla perfezione, anche senza intraprendere alcun viaggio, arrivano dovunque, e in un baleno.“

~Richard Bach~
Il gabbiano Jonathan Livingstone

Un libro che ha segnato la mia infanzia, la mia adolescenza.
Un inno al seguire le proprie passioni liberando ciò che di più unico e meraviglioso abbiamo in noi. Un’ode alla diversità, e al suo essere perfetta nonostante tutto attorno, ti faccia credere l’opposto.
La bellezza del scoprire i propri limiti, sfidandoli, muovendoli un po’ più in là di ieri. La forza di non accontentarsi, anche laddove il mondo sembra porci i suoi limiti, perseverare laddove le regole imposte non sono abbastanza e allora impariamo a riscriverle, alla ricerca di qualcosa che vada al di là, oltre.
Lì dove gli altri seguono la corrente, conformandosi, adattandosi ai limiti imposti, noi dispieghiamo un po’ di più le ali, azzardiamo a sfrecciare in venti proibitivi, prendiamo correnti ascensionali potenti, per poi ritrovarci in soffici brezze marine. Dubbiosi ma affamati di curiosità, non temiamo perché sorretti da una crescente conoscenza, osiamo perché non ci accontentiamo.
Non abbiamo fiducia nel ramo o nelle solidi superfici che ci ancorano a terra. Abbiamo fiducia nelle nostre ali.
Anche se tutto ciò ci conduce a trasgredire norme secolari, dettami e principi, e di conseguenza ci “condanna” all’esilio, alla solitudine, ci permette altresì di conoscere l’amore ossia la saggezza!
Un libro senza tempo, una lezione che rimane per la vita. Pagine che bambini e adulti dovrebbero leggere.

Siamo qui così diversamente uguali, troppo impegnati a seguire le mode del momento, sempre intenti a copiare o assomigliare a qualcuno o qualcosa. Inermi osserviamo il mondo girarci attorno imponendoci i canoni decisi per quell’epoca, quel anno, quella stagione. In base alle latitudini nelle quali nasciamo ci viene detto cosa ci è permesso diventare. Le opzioni sembrano già ben definite, i cambi di programma impossibili da concepire, i sogni spiumati per impedire qualsiasi tentativo di volo.

Eppure, qualcuno osa volare!
Ci vuole coraggio per diventare chi veramente vuoi essere, ma ci vuole un eroe per guardarsi dentro e ascoltare la propria musica. Non sempre ci accompagna su sinfonie perfettamente armoniose, ma intraprendere l’arduo volo dentro noi stessi ci permette di accordare gli strumenti, lucidare le parti più consumate, sostituire laddove il suono che sentiamo non fa più parte delle nostre corde, e perché no, trovare nuove note se necessario.

Alzo lo sguardo e il vento che sfila fra le fronde dei pini emette un suono che appartiene alla parte più alta della mia classifica degli effetti acustici preferiti. I suoni della natura sono i nostri indicatori più primordiali, ancestrali ricordi di libertà e potenza, ma anche di fragilità e quiete, di misura.
In questo caso è un suono che appartiene alla mia terra e l’eco dei gabbiani che giocano sulla riva o sorvolando le barche dei pescatori appena rientrate, mi giunge fino a qui. Mi sembra di vedere il lavorio di quelle mani pratiche di uno dei mestieri più antichi del mondo, forgiate da venti e salsedine. Ed eccoli lì i gabbiani di cui parlava Jonathan, tutti uguali, tutti a perpetrare le stesse abitudini, gli stessi ritmi, le movenze che secondo natura, sono le uniche che sono destinati a fare.

Riallineo lo sguardo alla terra, e mi sembra di vedere quello che Livingstone descriveva, solo in forma umana. Non intendo con questa espressione giudicare le vite degli altri, come nemmeno racchiudere in luoghi comuni le personali scelte di vita. Parlo di mondi e ricerche interiori, di coltivare terreni che appartengono ai paesaggi dell’anima. Espandete il pensiero su questo concetto, non limitatevi a vedervi solo una sterile critica.

Ritorno ancora al cielo, il mio sguardo si espande di conseguenza, non riesco a stare troppo quaggiù, in superficie, ho vertigine del basso, del superficiale, non importa che ascenda o discenda, voglio le profondità, i limiti, voglio scavare nel più profondo quaggiù per poi librarmi trascinata dai potenti venti ascensionali alle altezze più proibitive, li dove Jonathan osava sfidare la sua natura, puntando oltre. Passa qualche gabbiano, sembra appoggiato al vento, rende tangibile qualcosa di invisibile. Il ventre e la parte inferiore delle possenti ali mi rimandano i colori di un tramonto che avviene fuori dal mio campo visivo, lo immagino visto da lassù. Molto più in alto scie di voli umani interrompono l’azzurro del cielo.

Mi domando cosa veda Livingstone da quelle parti.
Sconfinato si estende il suo credo, la sua unica religione è la libertà. La libertà di portare alla luce se stesso, di essere quello che nel profondo dell’animo sa di poter raggiungere, anelare, lì dove i desideri e i sogni prendono forma, dove tutto quello che sentiamo di poter e voler essere ha lo spazio necessario per manifestarsi. Ascoltiamo la sinfonia che fa risplendere le nostre profondità e espandere i nostri orizzonti.

Nulla ci è precluso, siamo chiamati a essere gli eroi dei nostri cieli, non addomestichiamo i venti, diventiamo vento. La paura non è nemica e solo linfa per trovare il coraggio che già ci abita, l’aria rarefatta delle altezze non ci toglie ossigeno, ma ci educa a respirare, le bassezze dei nostri abissi ci insegnano quanto sia importante risalire. La nostra natura non è sinonimo di destino, i nostri limiti non ci definiscono, sono linee che disegniamo ogni giorno un pò più in là, usando tutti i colori del mondo.
Non temiamo i deserti perché siamo la dimora delle più belle foreste pluviali. Non temiamo le tempeste perché siamo abitati dalla quiete. Sfidiamo i venti perché ci sospingono verso tutto quello che siamo destinati ad essere, anche quando spaventano, anche quando ci dicono che non siamo fatti per volarci dentro.

Jonathan è l’eroe di una storia che si rifiuta di essere scritta da altri, che non si accontenta di appartenere a una massa, a un numero, a una specie, a una definizione. É egli stesso a porre i propri limiti e a sfidarli fino a non vederli più, non sta sfidando la propria natura, la crea, non segue e non pretende di essere seguito, non vuole essere necessariamente diverso ma solo e soltanto se stesso.
Ancora una volta, sempre, la letteratura insegna.
Il primo libro della mia rubrica è stato per me iniziatico, un pilastro sul quale ho intrapreso a poggiare i primi passi di consapevolezza, scoprendo che ci vuole coraggio per essere se stessi, che porta a sentieri tortuosi e spesso solitari, ma anche che è l’unica via possibile per dare senso a ogni cosa.
Siate coraggiosi miei prodi Livingstone. Buon volo.

Dubravka Dacic