Nessuno che non sia esperto si azzarda a cucinare una pizza, ma troppi si improvvisano scrittori.
È questo il riassunto del pensiero tagliente di Giampiero Mughini, apparso nella giornata di ieri, domenica 28 novembre 2021, sulle pagine dell’Huffington Post.
Tutto nasce da un dato: ogni anno in Italia vengono pubblicati più di 75 mila libri.
Per capire a pieno la grandezza di questo numero potrebbe tornarci utile immaginare tutti i cittadini, dai 0 ai 99 anni, di Asti o Caserta (rispettivamente la 63esima e la 64esima provincia più popolosa d’Italia) che nello stesso anno arrivano in libreria con un testo firmato da loro.
Ma com’è possibile che ogni anno in Italia venga pubblicato un così alto numero di titoli?
La risposta di Mughini si concentra su un altro dato, statisticamente accertato, che vede il 70% degli italiani incapace di intendere l’editoriale di prima pagina di un quotidiano.
Come possono esserci, dunque, così tanti scrittori e così pochi lettori capaci di comprendere un testo mediamente complesso?
Di quei 75.000 libri, oltre la metà non vede una sola copia venduta, prosegue Mughini, e dunque non ha alcun altro lettore che non siano i parenti dell’autore.
Nessuno che non sia particolarmente esperto si azzarda a cucinare una pizza, un mestiere difficile ma non difficilissimo; sono orde quelli che si avventano sui tasti di una macchina per scrivere o di un computer a comporre un libro, a metter giù un soggetto predicato e complemento, un mestiere che appare facile e che è invece difficilissimo.
Sarebbe interessante comprendere, ora, come quella moltitudine di libri che non trova lettori, e quindi acquirenti, possa esser stata pubblicata da una qualsiasi casa editrice: dietro l’uscita di un libro, infatti, si celano molteplici costi, dalla carta sulla quale viene stampato, all’editing, alla correzione delle bozze, l’impaginazione, la copertina, la grafica, l’ufficio stampa, le attività di segreteria e molto altro.
Sapere che quindi approssimativamente più di 30.000 titoli in Italia rappresentano un flop editoriale, fa sorgere numerosi interrogativi non solo sull’audacia di quei moltissimi che si lanciano impavidi sulla propria tastiera per scrivere il proprio lavoro, ma anche sull’attività di selezione che le grandi, piccole e medie case editrici fanno di fronte alle migliaia di proposte che quotidianamente ricevono.
Scrivere libri è difficilissimo, conclude Mughini nel suo articolo, ci vuole ostinazione nell’aver scavato le zolle da cui sgorga il racconto, cultura non banale e non piaciona, senso della qualità musicale della frase, altro che soggetto predicato e complemento. Scrivere è una strada tutta in salita, quanto di più irta.
E non solo scrivere è un mestiere difficile: anche distinguere ciò che è editorialmente valido da ciò che non lo è, non è cosa molto semplice.